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  • Lulù Oliveira a CM: 'Bati una bestia, Mazzone odiava il mio look. Quel gol alla Juve...'
Lulù Oliveira a CM: 'Bati una bestia, Mazzone odiava il mio look. Quel gol alla Juve...'

Lulù Oliveira a CM: 'Bati una bestia, Mazzone odiava il mio look. Quel gol alla Juve...'

  • Angelo Taglieri

Un viaggio in una Serie A che non c'è più, quella degli anni '90, delle Sette Sorelle, del Cagliari in semifinale di Coppa UEFA e che elimina ai quarti la Juve, di Mazzone, del Trap, di Batigol e di un brasiliano che si presenta in Sardegna con orecchini e capelli lunghi. Oggi, Lulù Oliveira, torna a quei tempi in una chiacchierata con Calciomercato.com, aprendoci le porte di casa sua: "Anche se, qualche volta, il cane mi porta in giro...".

Oggi, con lei, vorremmo tornare un po' indietro nel tempo, dato che, per il momento, il calcio del presente è fermo. Bisogna stare a casa, per forza. Ecco, lei in Italia si è sentito subito a casa?

"Quando sono arrivato a Cagliari, nel '92, la cosa che mi ha colpito tantissimo è il posto. Non conoscevo niente, non sapevo dove stavo andando, vedendo la bellezza della Sardegna, del Cagliari... mi sembrava di essere nel mio Brasile. In Belgio per andare al mare dovevo fare due ore e mezza di macchina... Qui avevo il mare in casa"

Capitolo Mazzone: non sopportava il suo look?
"Quando sono arrivato dal Belgio, vestivo in maniera totalmente diversa dagli italiani, che avevano uno stile loro, straordinario. Io indossavo camicie coloratissime, rosse, con i fiorellini, in pieno stile anni '90, che sta tornando di moda. Io avevo i capelli lunghi, l'orecchino e a Mazzone dava fastidio. E diceva, tra sé e sé: 'Ma come è vestito questo? Ma da dove viene?'. Qui c'erano Armani, Versace, tutte le cose che spopolano nel mondo. Ma l'orecchino gli dava ancora più fastidio. "Se non togli l'orecchino non ti faccio giocare?". 

E lei?
"Il mio italiano era molto scarso e avevo Francescoli, che parlava francese, che mi faceva da interprete. 'Guarda che il mister ce l'ha con te per come ti vesti, per i capelli, per l'orecchino' e io gli dicevo che non c'entrava niente questo col calcio, che ero venuto qui per giocare a pallone mica per fare il modello. All'inizio ascoltai il mister, mi tolsi l'orecchino e giocai la più brutta partita mai vista con la maglia del Cagliari. Allora, da lì, mi sono detto 'non me ne frega niente, io l'orecchino lo uso sempre'. Poi dopo l'ho convinto, quando mi buttava dentro segnavo, quindi non poteva non farmi giocare. Anche con le scarpe lo feci impazzire..."

Cosa non andava nelle sue scarpe?
"In quel periodo erano tutte nere, le scarpe. Io avevo le Adidas, nere con le tre strisce bianche. Il mio procuratore aveva trovato un nuovo sponsor, la Lotto, che all'epoca realizzava scarpe colorate e allora me ne mandarono un paio di prova, che io utilizzai nella partitella del giovedì contro i ragazzi della Primavera. Le provai, giocai e il mister, a fine partita, mi chiama a centrocampo. Pensavo mi dovesse dire qualcosa sulla partitella, nel bene o nel male, invece... 'Ma tu lo sai che con quelle scarpe non puoi giocare?!'. Io risposi perplesso: 'per quale motivo?'. E il mister: 'Per quale motivo?!? Il difensore ti vede da lontano!!!!". Ma non ho avuto discussioni brutte, erano solo quelle piccole cose che gli davano fastidio, ma avevamo un grande rapporto. Con noi c'era anche Marcelo Tejera, centrocampista uruguaiano, coi capelli lunghissimi, da dietro sembrava una donna. E il mister: 'Con me non giocherà mai fino a quando non si taglierà quei capelli'. Chissà adesso come farebbe, tra tatuaggi e orecchini..."

Anticipava la moda, insomma. 
"A Firenze io mi dipingevo le unghie. Una verde e una no, una viola e una no, anche dei piedi. E feci moda così. Anche a Como, tutto blu, a Bologna e Catania rossoblù, ma nessuno mi disse più niente"

Anche perché segnava spesso... Quello alla Juve, in Coppa UEFA, è quello a cui è più legato?
"Quando c'è una competizione così, quando fai un gol che dà la qualificazione, è sempre importante, se lo ricorderanno tutti. Il colpo di testa di Firicano, la mia rete, il rigore inesistente alla Juve, quella partita, a Cagliari, è rimasta nella storia. Noi eravamo a Torino e a Cagliari ci aspettarono per festeggiare tutti insieme. Sono cose che ti lasciano senza fiato. Un altro gol che mi ha dato grande piacere è quello realizzato contro il Malines, perché ai tempi il ct del Belgio non mi vedeva, nonostante stessi facendo benissimo a Cagliari. I media spingevano per gli attaccanti che giocavano in patria, ma io feci quel gol in pallonetto a Preud'homme, al quale non avevo mai segnato, e lo dedicai al ct, che aveva dubbi su di me"

In campo, con lei, in quel Cagliari, c'era Massimiliano Allegri. Se lo immaginava allenatore?
"Te lo dico sinceramente: mai avrei pensato di vederlo allenatore. Era molto timido, parlava pochissimo, con quell'accento toscano che facevo fatica a capire. Sono felicissimo per lui, l'ho visto quando ha visto lo scudetto col Milan, sono andato a salutarlo a Cagliari". 

Dopo Cagliari, la Fiorentina. Abbiamo intervistato Edmundo, ci ha rivelato che non sarebbe andato, col senno di poi, a quel Carnevale, rovinando, in parte, una stagione che poteva diventare da scudetto...
"Aveva un carattere molto particolare. Quando era nello spogliatoio o fuori era tranquillissimo, ma quando metteva piede in campo si trasformava. Ricordo che stavamo facendo una partita contro la Primavera, che giocava molto bene contro di noi, poco convinti e mai al 100%. A un certo punto, Edmundo dribbla i ragazzini, uno di questi gli dà una botta, lo fa cadere e... niente, Edmundo si rialza, lo prende per il collo, coi tifosi che da fuori gli dicevano di prendersela con qualcuno più grande. Per fortuna lo abbiamo trattenuto, voleva saltare la recinzione e andare da loro..."

A quel Carnevale non poteva rinunciare? 
"Ce lo aveva nel contratto, poteva andare. Per questo è andato. Ma in quel momento si è fatto male Bati, è andato via lui, io facevo il laterale, Trapattoni mi mise a fare l'attaccante dopo un po' che non lo facevo e non rendevo più come prima. Nonostante tutto abbiamo fatto un campionato importante"

E il rapporto con Trapattoni com'era? 
"L'avevo già avuto, anche se per poco, a Cagliari. A Firenze iniziai io in avanti con Bati, segnando subito nelle prime due partite, in cui Edmundo era squalificato dalla stagione precedente. Un martedì mi ferma, dopo l'allenamento, perché mi vuole parlare. Entro nel suo ufficio e mi dice che deve trovare un posto per me. Io gli dissi che potevo fare tutto, dal centrocampo in su e lui decise di farmi giocare sulla fascia destra. Heinrich si fece male, Torricelli andò a sinistra e io giocai su quella fascia. Non gli diedi subito una risposta, ne parlai coi miei amici prima. Poi gli dissi di sì, perché o giocavo in quella posizione lì o non giocavo per niente. Era l'unica soluzione. Qualche volta mi spingevo in avanti e il mister mi urlava 'Noooo, resta indietro'. L'anno dopo, però, volevo provare a giocare in attacco, nel mio ruolo. Mi disse di no e capii che il mio tempo a Firenze era finito". 

E tornò a Cagliari
"Sì. Però, prima di andare, feci il furbo per la prima volta in carriera, non capendo che in realtà il male lo stavo facendo a me stesso. Iniziai ad allenarmi male, senza voglia, fingendo infortuni, quindi mi ripresentai in Sardegna senza preparazione, che è la cosa fondamentale per noi giocatori. Non ero preparato per tornare a Cagliari, e questo è stato uno dei più grandi errori della mia vita"

Stagione difficile, che terminò con la retrocessione. 
"C'era Tabarez. Che poi è stato mandato via, per il nostro dispiacere. Ci ha allenato, ci ha salutato, e noi, a fine allenamento, siamo andati nell'ufficio di Cellino per provargli a fare cambiare idea. Niente da fare, il giorno dopo arrivò Ulivieri, che non riuscì a farci fare l'allenamento perché i tifosi si presentarono per contestarlo, in quanto loro dicevano che nella sua prima esperienza a Cagliari si era venduto qualche partita... La situazione era già critica, poi partita dopo partita non c'era più niente da fare. Io venni molto criticato, perché dovevo fare la differenza"

Tornando ai tempi della Fiorentina: ma è vero che Batistuta era tirchio?
"Siamo amici veri, io e Bati. Ed è vero, tutte le volte che andavamo a mangiare era il primo ad alzarsi per andare in bagno. Era abituato bene in giro, lo facevano pagare sempre poco ovunque andasse"

E' il più forte attaccante con cui ha giocato? 
"Sì, decisamente. Ho giocato con Dely Valdes, che a livello tecnico era una spanna sopra a Bati, ma Bati era un giocatore che non sbagliava mai, anche con due uomini addosso li distruggeva. Era fortissimo. Era una bestia. La tripletta a San Siro contro il Milan, il gol in Supercoppa, era davvero incredibile. E pensa, quando arrivai, al posto del suo grande amico Baiano, la prima volta i giornalisti lo fermarono e gli dissero: "Bati, guarda, c'è Lulù". E lui... andò dritto, senza cagarmi minimamente".

A Como la sua rivincita?
"A Bologna, dopo Cagliari, feci un altro anno mediocre. Così il mio procuratore mi chiamò per dirmi del Como, che era appena salito dalla C. L'anno dopo, con la promozione in Serie A, rimasi un po' infastidito, perché mi dissero che avevo la pancia piena, che non aveva più stimoli e non mi confermarono. Non potevano dirmi cosa peggiore, io ho sempre cercato di fare tutto passo dopo passo, di non accontentarmi mai, da quando lasciai casa mia, a 12 anni, in giro per il mondo coi genitori lontani, a cercare canali brasiliani in tv per sentirmi meno solo e più a casa. Non mi sono mai accontentato, nella mia carriera. E quelle parole, a Como, mi fecero male. E infatti a Catania, l'anno dopo, superai i 20 gol. Perché io non mollo mai, ho sempre fame. Dentro di me sono sempre il bambino brasiliano cresciuto nelle difficoltà" 

L'Italia è casa sua, ora. A livello di nazionale ha scelto il Belgio. Col Brasile non c'è mai stata possibilità?
"E' la più grande delusione che ho dato a mio papà. Quando ero in Belgio, all'epoca, potevano giocare solo 3 stranieri. Il team manager dell'Anderlecht mi disse che in caso di matrimonio con la mia ragazza, che era belga, c'era più possibilità di giocare. Mi sono sposato, ho preso la nazionalità. Dopo 10 giorni mi chiama il vice di Paulo Roberto Falcao, che era il ct del Brasile: 'La prossima amichevole ti convochiamo in nazionale'. E io gli dissi di no, perché ormai ero pronto per giocare col Belgio. Qualche giorno dopo esce un articolo in cui si dice un brasiliano ha detto no alla nazionale brasiliana. Era il sogno di mio papà, che oggi non c'è più. Era l'unica persona che credeva in me. E quando lui ha saputo che quel brasiliano ero io, è rimasto deluso. Non volle parlare con me per un po' di tempo. E' stato brutto. Dopo però l'ho convinto che avrei giocato poco col Brasile, e avrei giocato di più con il Belgio"

Un'ultima domanda mister, sul suo soprannome: il Falco. Come è nato?
"E' stata una scommessa con Sandro Cois, che giocava con me alla Fiorentina. Mi fece notare che tutti i giocatori imitavano un animale dopo un gol. Allora io mi ricordai che mio padre aveva un falchetto a casa, e siccome papà non c'era più volevo 'portare' qualcosa di lui con me in campo. Stavamo giocando contro il Milan, segnai e da lì partì tutto". Un falco che ancora oggi continua a volare. 


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