Calciomercato.com

  • Malagò cambia il calcio: 'Var in Europa e seconde squadre, Lega Serie A modello NBA. Nicchi vuole far polemica'

    Malagò cambia il calcio: 'Var in Europa e seconde squadre, Lega Serie A modello NBA. Nicchi vuole far polemica'

    Il presidente del Coni, Giovanni Malagò ha rilasciato un'intervista al Corriere dello Sport

    Milan, Lazio, Juventus, Roma. Una sequenza di episodi arbitrali in sede europea abbastanza sconcertante. Conta così poco il calcio italiano in Europa? 
    "Io non direi che è un problema del calcio italiano perché, per due anni di seguito, la squadra più clamorosamente danneggiata è stata il Bayern Monaco che è un colosso, sotto ogni punto di vista. E’ davanti gli occhi di tutti come sia stato trattato in due semifinali diverse e quindi non mi sento di dire che il problema è di nostro appannaggio esclusivo. Però penso che bisogna accelerare il percorso del Var perché una grandissima quantità di errori commessi sarebbero stati evitati o corretti. Ceferin  sostiene che serve tempo per preparare la classe arbitrale di così tante nazioni che danno supporto alle competizioni europee. Ha forse ragione ma, quantomeno nella fase finale, credo che nazioni più evolute dal punto di vista calcistico siano facilmente in condizione di essere formate per utilizzare il Var". 

    Lei sente che nel calcio europeo c’è un’egemonia spagnola, che è in primo luogo un’egemonia economico finanziaria? 
    "I risultati dicono questo perché, in percentuale quasi bulgara, negli ultimi anni le Coppe sono state vinte da squadre spagnole. Real, Barcellona la Champions, Siviglia in Europa League. In verità però questo discorso mi sembra sia più di carattere tecnico che economico finanziario. Perché se uno dovesse usare solo quel parametro allora le squadre inglesi dovrebbero fare man bassa.  I fatturati delle prime quattro o cinque squadre inglesi non hanno nulla da invidiare, non dico a Siviglia , Valencia o Atletico Madrid, ma neanche al Barcellona e al Real. Credo che sia una migliore qualità d’investimento, una elevata capacità di gestione tecnica che in definitiva incide sui risultati della squadra. E comunque non dimentichiamoci che i due migliori giocatori al mondo giocano in Spagna". 

    Non contano anche le condizioni fiscali che la Spagna ha applicato per le società calcistiche? 
    "Argomento molto dibattuto. Sicuramente ci sono stati dei privilegi che hanno fatto molto arrabbiare i vari club perché hanno messo in condizione le società spagnole, fino a qualche anno fa, di avere delle opportunità contributive che sono per noi invece estremamente penalizzanti. Adesso, come dimostrano le indagini fiscali anche su Messi e Ronaldo, ci si è uniformati. Ma va detto che nel frattempo la costruzione delle rose è stata fatta, in questi anni, con indubbi privilegi per le squadre iberiche". 

    Diritti televisivi: non è singolare che le società di calcio italiane siano preoccupate della quantità di soldi che arrivano e assai meno di dove il prodotto sarà diffuso? 
    "Certo che è singolare, però qui si deve partire da un dato. I budget, i bilanci delle società incidono mediamente per oltre i quattro quinti dei ricavi delle stesse società. Questa è stata un’impostazione che apparentemente ha messo in condizioni i presidenti o i proprietari delle squadre di risolvere i loro problemi. In realtà io ho sempre sostenuto che è una politica che può aiutare nel breve-medio termine, ma non dà nessun tipo di certezza di capacità di investimenti per il futuro. E’ un problema di mentalità. Molte società non riescono a discostarsi da questa specie di filosofia: diritti televisivi, ricavi e garanzie. Io invece parto dal presupposto che è indispensabile diversificare il volume e le fonti dei ricavi agendo su tutta la tastiera. Chi invece ha quell’altra mentalità tende esclusivamente a  massimizzare le entrate dalle televisioni a prescindere dal resto dei prodotti o dei servizi che la società può offrire. Ripeto, è un problema di mentalità, di cultura sportiva e imprenditoriale". 

    Come finirà la storia dei diritti televisivi dopo la vicenda Mediapro, la fideiussione non consegnata eccetera? 
    "Io mi auguro, da commissario, che si trovi una soluzione nella quale non ci debbano essere tra le parti, i tre soggetti Mediapro, Sky e Lega, vincitori o vinti. Sarebbe un segnale di certezza molto apprezzato dall’opinione pubblica, dai tifosi in generale e che potrebbe rimettere in condizione tutto l’ambiente, una volta per tutte, di evitare strascichi e polemiche. Anche perché qualsiasi contenzioso giuridico che rimanesse sospeso sarebbe un rischio mortale per il nostro calcio". 

    Perché il calcio italiano è sempre territorio di conflitti, di caos, di litigi e non trova quella compattezza che c’è in altri Paesi, facendone la forza? 
    "Io sostengo da tempo la tesi che quando a comandare è un’assemblea, e in questo caso mi riferisco a quella dei rappresentanti delle società, è quasi naturale che si creino questi conflitti: fazioni che si sono per anni contrapposte su tutto e per tutto. E’ invece indispensabile, e mi auguro che entro il mese di maggio si possa avere, il completamento di una governance che metta in condizione di agire la Lega. Saranno i rappresentanti delle società a decidere chi dovrà assumersi la responsabilità di gestire i vari problemi del calcio. Come in tutte le società che si rispettano - e non vedo perché questa associazione debba sfuggire a questa regola - l’assemblea si deve convocare una o massimo due volte l’anno. Per gli adempimenti formali, bilancio o rinnovo delle cariche, per dare delle indicazioni di strategia generale. Punto. Tutto il resto deve essere competenza di un management capace, terzo, impermeabile a quelle che sono le pressioni di questo o di quel presidente. Manager che devono fare solo il bene comune del calcio. Esattamente quello che succede negli altri Paesi. Lo sport professionistico americano, che, per antonomasia, è la stella cometa di qualsiasi organizzazione sportiva, da quarant’anni ha adottato questo sistema e guardi che risultati ha raggiunto in qualsiasi Lega: pallacanestro, baseball, hockey, football americano. La stessa cosa dovremo arrivare a fare in Italia. Aggiungerei questo per essere chiaro fino in fondo: senza mancare di rispetto a nessuno. Io penso che il calcio italiano debba passare dalla cultura del padrone alla cultura del manager". 

    E’ immaginabile un commissioner sul modello dell’NBA? 
    "E’ il mio sogno e sarebbe, secondo me, il passaggio successivo a questa fase di nuovo equilibrio tra manager e assemblea. Un commissioner sarebbe una figura ancora più snella, più elastica, più diretta nella gestione. E’ chiaro che il potere di questa persona sarebbe enorme, ma se si riuscisse a trovare chi ha le qualità, il curriculum, il carattere, le competenze professionali, sarebbe il completamento di un percorso di necessaria modernizzazione". 

    Che dolore le ha dato l’eliminazione dell’Italia dai Mondiali? Sarà la prima volta dal ’58 che i tifosi italiani resteranno a bocca asciutta. 
    "Io credo che ci siano tre fasi in questa vicenda: la prima quella della spaventosa delusione, da alcuni definita tragedia sportiva, che il paese ha vissuto nelle  settimane successive all’eliminazione con la Svezia. Poi ci sono stati questi mesi in cui i tifosi sono stati presi dal nostro campionato che indubbiamente è stato ed è molto avvincente. A tre giornate dalla fine tutto è aperto: scudetto, Champions, Europa League, retrocessione. In questa seconda fase colloco anche le Coppe europee. La terza fase è la più dura. Finirà il campionato e i riflettori si accenderanno esclusivamente sui ritiri e le convocazioni delle nazionali. Ci troveremo di fronte alla cruda realtà: ci saranno i grandi appassionati di sport che, malgrado tutto, vedranno le partite. Altri invece si rifiuteranno di farlo. Come un lutto, lo si elaborerà nello stargli lontani, distaccati. In ogni caso, soprattutto per i giovani, per le nuove generazioni, sarà un problema. Sarà triste". 

    Non le sembra che dopo questa tragedia il calcio italiano invece di dare un segno di scossa abbia continuato con i suoi insopportabili litigi? Litigi che sembrano non finire mai , come dimostra quello che sta succedendo in Figc… 
    "Se non ci fossero stati litigi, se ci fosse stato un percorso, un progetto comune tra chi rappresenta le componenti del calcio italiano, non saremmo arrivati alla doppia combinazione di commissariamento della Federazione e della Lega stessa. Un caso più unico che raro. Purtroppo io sono stato una Cassandra perché in tutti i modi ho cercato di dire che, con questa conflittualità, i problemi non si sarebbero risolti ma si sarebbe riaperta una crisi anche istituzionale all’interno del mondo del calcio. Non sono stato ascoltato, purtroppo. Oggi il commissariamento sta ottenendo risultati e innovazioni che prima non era possibile né pensare, né realizzare. Come nella migliore tradizione del nostro Paese ci sono componenti che apprezzano questi cambiamenti e altre che invece ritengono che la loro rappresentanza sia stata quasi spogliata, depauperata, privata di qualche diritto o potere. Queste forze già pensano a come ritornare, per continuare a sostenere delle tesi che saranno anche in buona fede, saranno anche legittime, ma che hanno finito con il precipitare il calcio italiano nella crisi che ben conosciamo". 

    Quando ci saranno le seconde squadre di A in serie C? 
    "Ci saranno presto, stanno facendo tutte le valutazioni di carattere tecnico. Se si riuscirà, già per il prossimo campionato o, nella peggiore delle ipotesi, in quello successivo. Innanzi tutto bisogna capire quante siano veramente le squadre della serie A interessate a farlo. Non sono certo la totalità, ma è un numero capace di tramutare le parole in fatti. La seconda cosa è capire quanti sono i posti veramente disponibili all’interno della Serie C perché il campionato di partenza sarà sicuramente quello composto sulla base delle legittime iscrizioni. Io apprezzo moltissimo la disponibilità del presidente Gravina di valorizzare il suo campionato con l’ingresso di queste squadre: è una posizione innovativa e coraggiosa. Ricordo che le seconde squadre possono conseguire la promozione fino alla serie B e comunque non possono mai giocare  nello stesso campionato della squadra di appartenenza". 

    La sua generazione ha cominciato con Mazzola e Rivera, è passata per Tardelli, Paolo Rossi, Conti, poi ci sono stati Baggio, Totti e Del Piero. Adesso questa cornucopia di talenti sembra essersi interrotta. Qual è la ragione per la quale il calcio italiano è in questa situazione? Togliendo le due finali della Juventus, noi non vinciamo una Coppa europea da anni, non vinciamo un Europeo da anni, non siamo andati ai Mondiali e, negli ultimi due, siamo ingloriosamente usciti al primo turno. Non c’è una crisi strutturale del calcio italiano? Da cosa dipende e come la si può affrontare? 
    "Non c’è dubbio che questa sia una verità assoluta. Non ci sono fuoriclasse da noi, almeno in questa generazione. Noi ne abbiamo conosciuti tantissimi, e abbiamo goduto di grandi, entusiasmanti vittorie. In effetti ora sembra quasi un’eresia, questa assenza. Sia chiaro: il fuoriclasse esula da qualsiasi regola razionale. Ci sono talenti puri che emergono in qualsiasi angolo del mondo. Però stiamo parlando di sport individuali. Per quelli di squadra è chiaro che si deve lavorare il più possibile sulla formazione. Per me il grandissimo errore è stato fatto in quei venti anni in cui il calcio italiano aveva il vento in poppa. Sembrava il Bengodi, il nostro campionato era il più bello di tutti, le nostre squadre  vincevano spesso competizioni europee ed eravamo una Nazionale fortissima. Paradossalmente in quegli anni si è fatto l’errore. Devi investire quando le cose vanno bene. Le grandi società, a qualsiasi livello ,non devono pensare 'ho vinto e l’anno prossimo continuo a vincere'. Le aziende di successo, in ogni campo, devono innovare, fare ricerca, modernizzare. E più il bilancio è stato positivo e più lo devono fare". 

    "E invece si è pensato di più a ingaggiare l’ennesimo giocatore per allargare le rose. Siamo arrivati a casi di trenta, trentacinque giocatori. Il problema non era più farli giocare, ma riuscire a mandarli in panchina. Non si è patrimonializzato: è stato un errore spaventoso e quindi è diventato tutto più complicato. Oggi se tu hai un fatturato di duecentocinquanta, trecento milioni di euro che già ti sembra, esclusa la Juve, moltissimo rispetto ai valori del calcio italiano, perché dovresti essere in grado di poter vincere contro undici squadre che hanno il doppio del tuo? Perché hai un sistema di gioco vincente? Perché c’è un allenatore meraviglioso? Perché hai fatto una grande preparazione atletica? Perché hai scoperto dei giocatori che altri non hanno scoperto? Sì, però se gli altri non sono tutti incapaci, quindi hanno comprato dei giocatori potendoli pagare molto di più, è molto probabile che siano più forti di te. Bisogna avere il coraggio di ripartire dai vivai, investire enormemente nei settori giovanili. Da lì ripartirà il calcio italiano. Veda l’Atalanta, è straordinario quello che è riuscita a fare in questi anni. Ma ci vuole intelligenza strategica, selezione delle priorità, visione manageriale e sportiva, insieme. Ci vorrà qualche anno, non mesi, ma chi farà così alla fine emergerà". 

    Secondo lei non ha ragione Allegri? In Italia il calcio è diventato più un esercizio cervellotico fatto di  tattiche, statistiche, fisicità estrema ma poi , tolto Insigne, non abbiamo un giocatore che sappia saltare l’uomo. Non bisogna tornare a privilegiare la tecnica, nella formazione calcistica? 
    "E’ una discussione aperta all’interno delle componenti tecniche. A me risulta che  non sia una religione assoluta quella che prevede il prevalere del fisico sulla tecnica... E’ chiaro che se sei un giocatore che salta sempre l’uomo ma al tempo stesso sei discontinuo, non segui mai il tuo avversario, hai corsa limitata, nel calcio moderno rappresenti un lusso. Anche quelli che sono particolarmente talentuosi oggi si devono adattare ad un certo modo di giocare. Ronaldo, che ha delle qualità mostruose, lo si vede spesso fare cinquanta metri di campo per seguire o lanciare il contropiede. E se non hai delle qualità atletiche superiori le rovesciate come la sua non le fai". 

    Sarà Mancini il futuro commissario tecnico della Nazionale? 
    "Io sono stato, e continuo ad esserlo, rispettoso innanzitutto dei commissari ai quali ho sempre detto che era giusto e corretto che assumessero in autonomia questa decisione. A me risulta che si è sempre parlato di una rosa di nomi, di ipotesi delle quali si dovevano valutare tutta una serie di variabili, di aspetti. La disponibilità, la parte economica, le idee e i progetti della federazione e dei papabili e mi risulta che si continui ad andare in questa direzione. Fermo restando che Mancini, così come altri, hanno i requisiti per essere degli ottimi allenatori della Nazionale italiana". 

    Non è strano che noi chiediamo il Var per le Coppe europee,  l’abbiamo e spesso, quando viene usato, lo contestiamo. Lo fanno tutti, non solo l’Inter. Non le sembra una contraddizione? 
    "E’ innegabile che una percentuale spaventosa, oltre il novanta per cento dei casi, con il Var siano stati risolti positivamente. Cosa succede? Noi italiani siamo i campioni del mondo in una disciplina: anche negli altri aspetti della vita, fuori dal calcio, se c’è una cosa che va bene, a cominciare dagli stessi giornali, si fa fatica a trovare qualcuno che la evidenzia, che la sottolinea. Anche se magari per nove volte di seguito quella scelta ha dato risultati buoni. Però se una volta va male, stai tranquillo che ci sono i titoloni di prima pagina. Questo è il caso del Var in Italia". 

    Il responsabile degli arbitri Nicchi critica il Coni per non aver detto una parola in difesa degli arbitri e per voler superare la loro rappresentanza in Figc. Cosa ha da rispondere? 
    "A differenza di Nicchi io non ho voglia né interesse a polemizzare con lui. Dico solo che mai in passato Nicchi ha fatto questo tipo di dichiarazioni. Evidentemente i nuovi principi degli statuti federali approvati dal Consiglio nazionale del Coni hanno modificato il suo approccio istituzionale. Detto questo, il Presidente del Coni ha sempre difeso l’operato degli arbitri. E quelli che vanno in campo lo sanno bene". 

    Come sa, sono convinto da tempo della forza espansiva che può avere il calcio femminile. Finalmente, pochi giorni fa, i campionati sono stati resi autonomi dalla Lega nazionale dilettanti e si è avviata la fase della sovranità di governo e di gestione. 
    "Sì, è una decisione importante. Ma non è un capriccio o un dispetto nei confronti della Lega dilettanti. Tutt’altro. E’ semplicemente che oggi il movimento è trainato dalle società di serie A che stanno investendo e hanno capito l’importanza che può avere in prospettiva il calcio femminile, anche nel nostro Paese. Che ha grandi potenzialità, bacini d’utenza, interesse mediatico. E nuovi sponsor che possono essere attratti dal campionato femminile. Le società possono fare sinergie importanti con le loro infrastrutture sportive, con gli impianti. Per queste società sarebbe un controsenso che tutto sia sotto l’egida della Lega dilettanti. Penso che si andrà nella direzione da lei auspicata. Ma non si dimentichi mai che, in primo luogo, il calcio femminile è importante per il suo valore di abbattimento di anacronistiche barriere di genere". 

    Altre Notizie