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  • Maldini, ricordati di Rivera: per essere un buon dirigente non basta l'etichetta

    Maldini, ricordati di Rivera: per essere un buon dirigente non basta l'etichetta

    • Alberto Cerruti
      Alberto Cerruti
    L’ultima partita del grande ex capitano Gianni Rivera nel ruolo di calciatore e la prima partita del grande ex capitano Paolo Maldini nel ruolo di dirigente con pieni poteri. Tutto era finito e sta per incominciare nei primi giorni di giugno, dal 1979 a oggi, a cavallo di 40 anni esatti di storia rossonera che ora si intreccia con la cronaca.

    Probabilmente molti tra coloro che hanno incominciato a leggere queste righe non hanno mai visto giocare Rivera, primo Pallone d’oro italiano nel 1969, due volte vincitore della Coppa dei Campioni, nel 1963 e nel 1969. Numero 10 capace di far segnare tutti gli attaccanti rossoneri, da Prati l’unico italiano 3 volte in gol in una finale di coppa dei Campioni nel 1969, a Calloni 13 volte in gol nel suo primo campionato, Rivera per chi scrive, e ha avuto la fortuna di vederlo giocare, è stato il più grande giocatore del dopoguerra, più dei vari Baggio, Totti e Del Piero per citare chi si è avvicinato a lui per caratteristiche tecniche.

    Vinto lo scudetto della stella, dopo lo 0-0 contro il Bologna a San Siro, il 6 maggio 1979, Rivera partì con il Milan per una serie di amichevoli di fine stagione in Sudamerica, con tappe in Uruguay, dove incontrò il grande Schiaffino, Paraguay e infine Argentina. Nessuno sapeva che aveva già deciso di lasciare il calcio, perché a 36 anni Rivera sembrava ancora in grado di regalare emozioni ai tifosi rossoneri, specialmente pensando al ritorno dopo 11 anni in coppa dei Campioni, che allora si chiamava così proprio perché riservata soltanto alle squadre campioni nei rispettivi Paesi.

    Il 5 giugno 1979 a Mendoza, dopo aver raccolto i complimenti del leggendario Mumo Orsi, l’oriundo argentino campione del mondo con l’Italia di Vittorio Pozzo che viveva lì, Rivera con il suo solito numero 10 e i gradi di capitano affrontò il Talleres di Mendoza. Era l’ultima partita di una travagliata e dolorosa trasferta, per la improvvisa morte a Buenos Aires di Alvaro Gasparini, il tecnico che sostituiva Nils Liedholm, rimasto in Italia perché già impegnato con la Roma. Con il lutto al braccio dopo un minuto di silenzio e la scritta luminosa nello stadio “Omaggio ad Alvaro Gasparini”, i rossoneri con la testa altrove ma costretti a scendere in campo per rispettare i contratti, furono guidati nel primo tempo da Capello, riserva in panchina, che in pratica incominciò così, senza saperlo, la sua splendida carriera di allenatore.

    Per la cronaca, il Milan perse 3-2 con questa formazione: Albertosi; Morini (Minoia), Boldini; De Vecchi, Bet, Baresi; Novellino (Capello), Bigon, Antonelli, Rivera, Chiodi (Sartori), segnando con De Vecchi e Chiodi su rigore. Per la storia, ci ritrovammo testimoni, insieme con i colleghi Gino Bacci e Aldo Pacor, purtroppo scomparsi, dell’ultimissima partita di Rivera, perché al ritorno in Italia, in una affollata conferenza stampa nella sede di via Turati, il capitano annunciò il suo addio al calcio.

    A questa sorpresa se ne aggiunse un’altra, perché il presidente Felice Colombo disse che Rivera diventava subito vicepresidente. Peccato che quel passaggio non riuscì bene come quelli che Rivera faceva ai suoi compagni. Travolto anche lui dallo scandalo delle scommesse che un anno dopo mandò il Milan in B, Rivera non ha lasciato ricordi felici come dirigente.

    Ecco perché, a distanza di 40 anni esatti, Paolo Maldini dopo averlo già superato nelle presenze deve superare Rivera anche come dirigente. La carica e l’etichetta diversa non contano. Contano l’autonomia, la competenza e la personalità per occupare un ruolo così importante.

    E allora in bocca al lupo a Maldini per la sua nuova avventura. Con una certezza che fa ben sperare, perché il fondo Elliott e Gazidis vogliono rilanciare il Milan per interesse. Mentre Maldini lo vuole rilanciare per amore.

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