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  • Mancini e Vialli, il mondo alla rovescia

    Mancini e Vialli, il mondo alla rovescia

    Una vecchia regola popolare stabilisce che se uno nasce “quadrato”non può morire “tondo”. E viceversa. Ciascun teorema però, per preciso che possa essere, viene talvolta scompaginato da quelle che si chiamano eccezioni. La formula “Vialli-Mancini” coniugata come unico elemento rappresenta la Grande Eccezione.

    Per capire come erano e chi sono adesso i due ex gemelli occorre averli frequentati quando, con la maglia della Sampdoria, in campo erano i maghi delle meraviglie e fuori dal terreno di gioco gli inseparabili. Grazie al vettore professionale ho avuto la fortuna e il privilegio di poter trascorrere insieme con loro il tempo necessario a cementare una discreta conoscenza e ad alimentare una discreta stima reciproca. Erano i tempi, fortunati per tutti, non esistevano barriere a dividere le varie categorie di coloro che si occupavano di pallone giocandolo o raccontandolo. Allora, per esempio, anche un ristorante poteva diventare un luogo dove non solo si mangiava ma, soprattutto, si trascorreva del tempo per approfondire i rapporti più ampi. Il locale appena dietro Marassi, preferito dalla famiglia Mantovani, era il rifugio ideale per stare un po’ tranquilli.

    Luca era il giovane cremonese, di buona famiglia, sufficientemente colto e difficilmente disponibile a lasciarsi sedurre dall’istinto o dalle pulsioni di pancia. Giocava a pallone esattamente come viveva la vita: ragionando e radiografando ogni tipo di problema prima di affrontarlo. Ho sempre immaginato che anche il  suo fiuto per il gol fisso figlio di  scrupolose indagini preventive fatte a tavolino e poi applicante in campo. Come si dice: un allenatore in pectore con il futuro professionale disegnato addosso. Roberto era un ragazzo, anche lui di provincia ma quella marchigiana, di origini più umili che sopperiva alla sua timidezza di base con atteggiamenti talvolta esagerati mostrandosi spavaldo nel dire e controcorrente nel vestire. Arrivando persino a mentire a se stesso, quando affermava di  rimpiangere quella società degli Anni Sessanta che lui non aveva potuto conoscere perché troppo piccino. Sintomi di fantasia sfrenata al potere. Quella che, in campo, gli permetteva di essere il genio della lampada ma che, nel privato, faceva apparire meno affidabile del gemello e  dal futuro fumoso quando avrebbe smesso di giocare. Paolo Mantovani li adorava entrambi, ma per il “Mancio” si preoccupava maggiormente. “Arriverà un giorno in cui Mancini, povero, andrà a chiedere un  prestito a Vialli e lui dirà che non  può”, così talvolta diceva il presidente. Due strade soltanto apparentemente segnate. In realtà oggi, sia per Vialli e sia per Mancini, il modo si è letteralmente capovolto. 

    Luca, l’allenatore in campo, ha appena assaggiato il mestiere che gli era stato ricucito addosso per poi filarsela alla grande. Essendo persona molto intelligente, ha subito capito che quel ruolo non faceva per lui essendo, dietro la crosta di “ragioniere”, uno spirito libero e incompatibile con un’esistenza monocorde. A Londra dove vive nel quartiere delle star, il Chelsea, ha una casa-ufficio da sballo. Si veste elegante in grigiofumo e indossa la bombetta. E’ diventato il simbolo sportivo del network più potente del mondo e, come commentatore, ha imparato a “bucare lo schermo” in maniera sfrontata come sanno fare gli americani. Frequenta la “crema” della City. Gioca a golf. Organizza meeting benefici insieme con Massimo Mauro. Chiedergli se tornerebbe ad allenare vuol dire fargli venire l’orticaria.

    Roberto, il fantasista sognatore dal futuro incerto, ha la valigia sempre pronta per andare a svolgere, dove lo chiamano, una professione che sulla carta sembrava essere lontana da lui anni luce. Tant’è, se la memoria non mi inganna, quando il Mancio sfidò per la prima volta il mondo del pallone sulla panchina della Lazio cervelloni e malpensanti storsero il naso. “Raccomandato” fu l’aggettivo più tenero nei suoi confronti. In campo si agita quel che basta e poi scrive. Osserva e poi scrive. Parla con il suo vice e poi scrive. Il Mancini ragioniere che mai ti saresti aspettato. Intanto vince. Eccome se vince. In che modo? Esattamente l’opposto di quella che avrebbe dovuto essere la sua natura di poeta un po’ ingovernabile e quindi in difficoltà quando si tratta di governare. Insomma, quasi un trapattoniano. Il massimo per lui che, in quanto a pensar calcio, con il Trap ci stava come il giorno con la notte. Vialli e Mancini, oggi, sono rimasti amici. Ma non più inseparabili.

    Marco Bernardini

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