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  • Marino: le tre scommesse di Marotta

    Marino: le tre scommesse di Marotta

    Quando un grande club sta mettendo a segno un ciclo vincente, la dirigenza ed i tecnici della società, mentre tutti sono ubriachi di felicità, devono saper mantenere le orecchie ben dritte, per saper cogliere al volo quei segnali, a volte criptati ed a volte no, che arrivano dalla quotidianità della squadra e che possono lasciar presagire la necessità di una immediata rifondazione. 

    L’ esperienza ci insegna che ogni ciclo esaltante nel calcio, in un medio periodo, è destinato a spegnersi ineluttabilmente. A volte, purtroppo, tutto ciò può accadere in modo improvviso e fragoroso, se non si è stati tempestivi nel rinnovare uomini e stimoli, magari anche il giorno dopo aver celebrato l’ ennesimo titolo in campo. Non è un esercizio molto difficile, ricordare l’ esempio più risaputo e recente, delle conseguenze di una mancata rifondazione.

     Lo Special One ebbe un fiuto molto speciale, quando decise di lasciare l’ Inter del Triplete, il giorno dopo aver strapazzato il Bayern Monaco, nella magica notte di Madrid. I tormenti furono, poi, dei suoi successori, che videro spegnersi un po’ alla volta, negli stimoli e nel fisico, una rosa di campioni, che, fino a poco tempo prima, con Mourinho, avevano vinto tutto quello che si poteva vincere. 

    Andando più a ritroso nel tempo, stessa sorte toccò alla invincibile corazzata rossonera di Fabio Capello, quel Milan di Baresi, Costacurta e Maldini, che, a cavallo tra il 1991 ed il 1996, vinse quattro Scudetti, di cui uno senza mai perdere, tanto da guadagnarsi l’appellativo di squadra invincibile.

    Il risultato di una non tempestiva rifondazione, nel 1996-97, segnò il fallimento di Tabarez prima e di Sacchi poi, con un misero undicesimo posto, mentre Capello era espatriato al Real Madrid. Non era colpa dei due allenatori, però, perché, insistendo ad andare avanti con quelli che, ormai, erano diventati gli ex invincibili, l’anno dopo, nonostante il ritorno del buon Fabio da Pieris, il Milan conquistò soltanto un disonorevole decimo posto.

    Nel calcio, quando i manager, per eccesso di riconoscenza o per mancanza di idee e, forse, anche di un pizzico di coraggio, in presenza di risultati esaltanti, tralasciano di operare delle cicliche rifondazioni della squadra, l’epilogo è sempre, tragicamente, lo stesso, con la conseguenza che intervenire tardivamente, poi, diventa sempre più difficile e fa perdere più di una stagione sportiva.

    Si spiega così, perché, la dirigenza della Juventus dei giorni d’oggi, dopo aver conquistato quattro Scudetti consecutivi, con la Coppa Italia ancora in mano e il fresco ricordo della sfortunata, ma comunque equilibrata finale di Champions League con il Barcellona, l’estate scorsa, ha sentito la impellente necessità di ristrutturare la squadra, cominciando un coraggioso lavoro di rifondazione e di ringiovanimento.

    Trattenere fuoriclasse come Tevez, Vidal e Pirlo che, all’improvviso, per vari motivi, chiedono di esodare, può essere anche un compito non impossibile per un dirigente, ma, sicuramente, è una scelta di comodo che il club, può pagare, poi, amaramente negli anni successivi. Il rendimento ottimale di un calciatore, anche se si tratta di un top player, non può prescindere dal raggiungimento di un equilibrio psico-fisico virtuoso, che si crea quando un giocatore è pienamente felice di giocare con quella maglia e si sente il paladino di tutti. Guai, quando, nonostante il portafoglio sia più gonfio, la testa del calciatore viaggia altrove, rimpiangendo occasioni che si volevano cogliere e sono state, invece negate da qualcuno.

    Quando una societàsi trova al cospetto di queste situazioni, la differenza la fa il manager, insieme all’allenatore. Marotta ed Allegri, hanno saputo, con estrema sensibilità, cogliere al volo questi segnali nefasti ed hanno cominciato una scomoda e coraggiosa rifondazione, ben sapendo di correre il rischio di andare incontro a critiche feroci se i risultati non fossero arrivati immediatamente.

    Il saggio Marotta, aiutato dalla solida esperienza professionale che si ritrova e dalla solita arguzia che lo sempre caratterizzato in carriera, la scorsa estate ha subito realizzato che era meglio soffrire subito per qualche mese e non penare, poi, per degli anni.

    Le critiche che gli sono piovute addosso da subito sono state tremende. È stato scritto e detto di tutto. 

    Dybala è bravino, ma è stato pagato troppo” , esclamavano i “sapientoni” di turno.

    Alex Sandro è un oggetto misterioso pagato 26 milioni”, eccepivano molti tifosi, travestiti da ragionieri.                                              

    Mandzukic” è finito, sentenziavano alcuni funerei opinionisti.

    Oggi che abbiamo ancora negli occhi la magica notte di ieri dello Juventus Stadium, con i ricchissimi pupilli degli sceicchi ad inchinarsi in campo per la seconda volta, quest’anno, alla Juventus.

    Oggi, che Alex Sandro scorazza incontrastato sulla fascia, diventando una fonte inesauribile di gioco per i compagni, fornendo assist al bacio per le punte e sfoggiando una qualità superiore in ogni giocata;

    Oggi, che Dybala segna con una media incredibile e lascia vedere, anche ai più ciechi, quale sono le sue immense qualità tecniche e prospettiche;

    Oggi, che Mandzukic, mostra, finalmente, tutto il suo repertorio di gol e giocate, che ce lo aveva fatto sempre ammirare nel Bayern;

    Dobbiamo riconoscere, a Beppe Marotta, tanto criticato per la scorsa campagna acquisti e per i pessimi risultati di inizio stagione, che il tempo, da vero galantuomo quale è, gli sta dando, piano piano, ragione. Il suo coraggio di rifondare da subito una squadra così vincente, è destinato a portare futuri benefici a tutti, azionisti e tifosi compresi.

    Pierpaolo Marino
    @PierpaolMarino

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