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  • MES e paradisi fiscali, un po' di chiarezza: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Italia compresa

    MES e paradisi fiscali, un po' di chiarezza: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Italia compresa

    • Fernando Pernambuco
      Fernando Pernambuco
    Due sono  le parole del momento, nel dibattito politico economico fra Italia ed Europa: MES e paradiso. Per MES s’intende il cosiddetto Fondo Europeo Salvastati, per paradiso s’intende: fiscale. Il MES, secondo alcuni (soprattutto Meloni, Salvini e in parte 5Stelle) sarebbe uno strumento famigerato e vessatorio, un prestito che impone condizioni e controlli durissimi. I paradisi fiscali europei sarebbero quei Paesi ( Olanda, Irlanda… ) in cui le aziende si domiciliano per pagare tasse molto più basse. Proviamo a chiarire.

    Il MES - Oggi demonizzato da coloro che lo hanno fatto nascere e impostato negli anni 2010-2011, non è affatto quello strumento diabolico che appare. E’ un’onerosa ciambella di salvataggio per Stati europei in difficoltà. Non è affatto nuovo e, come i suoi predecessori FESF e MESF si è rivelato prezioso. Perché molti fanno riferimenti alla Grecia e non a Irlanda, Portogallo e Spagna che lo utilizzarono proficuamente un po’ meno di 10 anni fa? Anche grazie al MES, le economie di quei Paesi sono riuscite a riprendersi dalla crisi in modo più solido rispetto all’Italia. E non bisogna dimenticarsi che l’Italia, essendo una delle nazioni in quel caso “prestatrice” esigeva, come le altre, determinate garanzie. Comunque, riferendoci ai dati dell’FMI ( Fondo Monetario Internazionale ) dal 2013 al 2019, quindi dopo l’introduzione del FESF e del MES, quei tre Paesi sono cresciuti maggiormente rispetto al nostro, hanno ottenuto una diminuzione del proprio debito pubblico e un calo del tasso di disoccupazione.

    I PARADISI - Già, l’Irlanda! Non ne ha forse approfittato, come Olanda, Lussemburgo, Malta, Belgio? Tutti Paesi che, pur facendo parte dell’UE, attuano un rilevante dumping fiscale, in sostanza un imponente abbassamento delle tasse in favore di quelle aziende multinazionali, soprattutto d’oltreoceano, che decidano di spostare la propria sede entro i loro confini. Società come Amazon, Google, Facebook, Microsoft. Ma anche FCA, Eni, Mediaset, Enel, Illy, Ferrero, Telecom Italia,… che americane non sono, hanno deciso di stabilire la propria residenza fiscale a Prins Bernhardplein 200, 3 chilometri da Amsterdam, dove ha sede Intertrust, azienda specializzata in domiciliazione. Intertrust cura gli affari di circa 3 mila società mondiali ed europee con un flusso di denaro che si aggira attorno ai 5 mila miliardi di Euro ogni anno. Il perché è noto: diritto societario semplificato e una tassazione sugli utili estremamente bassa, col risultato che le plusvalenze, a differenza di quanto accade per esempio in Italia, Francia, Germania…, restano quasi interamente nelle tasche dei proprietari di aziende. Aziende che non operano, per restare al nostro esempio (ma ciò vale anche per Irlanda, Lussemburgo e gli altri Paesi citati ) solo in Olanda bensì sul mercato europeo e globale. Come dire: vendo e faccio profitti ovunque, anche in Italia, ma le tasse le pago in Olanda, privando  così noi e gli altri di entrate fiscali. Tommaso Carboni, in un articolo su “Forbes” offre cifre impressionanti: secondo uno studio del Parlamento Europeo alcune nazioni perdono collettivamente fra i 50 e i 70 miliardi attraverso questa forma di elusione fiscale, per il “Tax Justice Network” (si riferisce ai dati relativi ai profitti della società americane in Europa) le aziende statunitensi hanno ricavato 44 miliardi di utili in Olanda, grazie a tassazioni del 5%. Tutto lecito e trasparente, ma la questione adesso con l’Olanda, che si oppone agli Euro o Coronabond (non col Lussemburgo, il Belgio, l’Irlanda i quali tacciono o acconsentono) è divenuta politica. “Come è possibile - diciamo con comprensibili ragioni - che uno Stato ‘paradiso fiscale’, capace per questo d’aggiustare i suoi bilanci, sottraendo dovuti incassi al nostro, ci dia una lezione di rigore e ci voglia imporre condizioni vessatorie?” E, allargando il discorso: “Come mai abbiamo armonizzato il fisco col Fiscal Compact che detta limiti e non abbiamo invece regolato altri aspetti? Perché non abbiamo un sistema fiscale europeo? Chi non lo vuole?”

    CHI' E' SENZA PECCATO... - Ammesso che il MES attuale non sarebbe quello delle dure condizioni concesso all’ epoca, a Portogallo, Irlanda e Spagna, la domanda è proprio quella della fiscalità generale e della disparità di trattamento, del business fatto con differenti fiscalità. Non c’è dubbio che la condizione attuale presenti patenti iniquità, per altro la coerenza fa notare come di queste iniquità godano anche molte aziende italiane, per di più alcune pubbliche. Il secondo, cruciale argomento riguardante la fiscalità comune ha, per lo meno, bisogno di altre domande. Siamo sicuri che tutti Paesi dell’ Europa lo vorrebbero? E soprattutto che lo vorrebbe l’Italia? Sì, perché la media delle tasse, a quel punto, potrebbe essere nel nostro Paese inferiore. I governi italiani ne sarebbero felici? Seconda questione: è colpa dell’Olanda se da noi l’evasione delle tasse è un fatto endemico che, secondo gli ultimi dati ISTAT vale 211 miliardi di Euro? A questo punto potremmo chiedere la mutualizzazione della evasione fiscale, tramite opportuni “Taxbond”.

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