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  • Milan, i 4 motivi per cui fischiare Kessie è sbagliato

    Milan, i 4 motivi per cui fischiare Kessie è sbagliato

    • Alberto Cerruti
      Alberto Cerruti
    Ormai è il classico segreto di Pulcinella e il Carnevale in arrivi non c’entra. Franck Kessie a fine stagione lascerà il Milan, come hanno fatto prima di lui Donnarumma e Calhanoglu, che hanno rifiutato le proposte di rinnovo del contratto per andare a guadagnare di più altrove. Peccato, perché il centrocampista ivoriano, nel pieno della maturità a 25 anni, alla sua quinta stagione con la maglia rossonera, sembrava una colonna non soltanto per il presente ma anche per il futuro. Peccato doppio, ricordando le sue promesse d’amore e fedeltà al club, espresse l’estate scorsa in una intervista a “La Gazzetta dello Sport” durante le Olimpiadi e mai smentita. Anzi, proprio quelle sue parole che avevano fatto piacere ai tifosi si sono rivelati un classico boomerang, perché adesso la sua evidente intenzione di andarsene ha fatto indispettire chi si è sentito comprensibilmente tradito.

    E così la delusione si è trasformata in una contestazione esplosa nell’ultima partita casalinga del Milan, contro la Sampdoria. Premesso che chi paga, specialmente con i tempi che corrono, ha il diritto di fischiare a patto di non passare agli insulti e alle offese, l’atteggiamento dei tifosi rossoneri non ci convince. Ripensando a mente fredda a quanto è successo domenica, e a maggior motivo a quanto potrebbe succedere nelle prossime gare a San Siro, fischiare Kessie è sbagliato per almeno quattro motivi.

    Prima di tutto, i tifosi di qualsiasi squadra dovrebbero sempre sostenere i propri giocatori dall’inizio alla fine di ogni partita, perché in caso contrario non si avrebbe alcun vantaggio a giocare in casa, con tutto il pubblico a favore appunto.

    In secondo luogo, fischiando un proprio giocatore si mette in difficoltà lui e di riflesso la squadra, con un atteggiamento autolesionistico. Lo stesso Kessie potrebbe chiedere di non giocare altre gare a San Siro. Oppure Pioli, rendendosi conto dell’ambiente ostile, potrebbe rinunciare a schierarlo. In entrambi i casi, il Milan avrebbe un giocatore in meno con un evidente danno tecnico, a maggior ragione se mancassero altri centrocampisti per infortuni o squalifiche.

    Il terzo motivo è legato a un sentimento sempre più raro nel calcio in particolare e nel mondo in generale e cioè la riconoscenza. E’ vero che il primo a non averne nei confronti del Milan è proprio Kessie che preferisce attaccarsi al denaro invece che alla maglia e alla società cui deve il proprio rilancio, ma non bisognerebbe dimenticare che il centrocampista ha sempre dato tutto e grazie alla sua doppietta nell’ultima gara del campionato scorso ha consentito al Milan di tornare in Champions League dopo sette anni. Un conto è continuare ad applaudirlo per questo, un altro è fischiarlo, invece di scegliere una via di mezzo con un semplice silenzio.

    Infine, ammesso che esista ancora una possibilità per fargli cambiare idea, fischiarlo significa invogliarlo ad andarsene. Trattandolo come gli altri, e magari incoraggiandolo ancora di più per fargli sentire l’affetto dei tifosi, potrebbe invece essere un modo per farlo riflettere. Con una certezza che vale per tutti, per i giocatori e in fondo anche per i tifosi. Sino all’ultimo giorno, come sta dimostrando Insigne nel Napoli di cui è il capitano e una bandiera molto più legata ai tifosi di Kessie, bisogna essere professionisti visto che si riceve regolarmente lo stipendio. Ma anche i tifosi fino all’ultimo giorno devono sostenere i propri giocatori, visto che continuano a indossare la stessa maglia e salvo prova contraria cercano di dare il meglio. Poi ci sarà tutto il tempo per fischiare Kessie quando tornerà a San Siro con un’altra squadra, ma allora sarà un avversario da battere. Fino a maggio, invece, sarà rossonero come i suoi compagni. Se segnerà un gol sarà a favore del Milan e non contro. E in quel caso avrebbe ancora senso fischiarlo?

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