Minamino e il pregiudizio di Holly e Benji: perché i club italiani devono solo imparare
FIORITURA - Esattamente come Ralf Rangnick, responsabile dello sviluppo sportivo della Red Bull, il primo a credere in Minamino. I suoi occhi sono ovunque, anche in Giappone, a Osaka, dove Taku è nato, cresciuto e ha iniziato a sorprendere. Sempre con la maglia del Cerezo Osaka, il club che ha lanciato i vari Kagawa, Inui e Kiyotake (e ora ha in rampa di lancio Jun Nishikawa), con il quale ha debuttato nel 2012, a 17 anni. Il viaggio in Europa è arrivato tre anni più tardi, nel 2015, direzione Salisburgo, dove il miglior giovane della J-League del 2013 è cresciuto come uomo e come calciatore, chiudendo la sua avventura con 64 gol in 199 partite.
SCOMMESSA - Numeri, abbinati a qualità e duttilità, che hanno convinto il Liverpool a puntare su di lui. Giocare in Inghilterra è sempre stato il suo sogno, ora inizia una nuova avventura, deve dimostrare di meritare la chance. Nei Reds agirà da vice Firmino, da attaccante centrale, il ruolo che preferisce (non a caso il suo idolo è David Villa) o sull'esterno, come alternativa a Salah e Mané. Di certo per il Liverpool è una scommessa, quella che i club italiani troppo spesso rinunciano a fare, soprattutto se si tratta di giocatori asiatici.
PREGIUDIZIO - E' innegabile che chi è transitato dal nostro campionato, da Miura a Nanami, passando da Oguro, Ogasawara e Yanagisawa, ha raramente lasciato il segno (con le eccezioni di Nakata, Nakamura e, per certi versi, di Honda e Nagatomo), ma è altrettanto vero che trasferimenti del genere hanno avuto soprattutto motivazioni commerciali. I giapponesi, in Italia, sono sempre stati visti come una macchina da soldi, come un mezzo per aprirsi a nuovi mercati, o, nel peggiore dei casi come dei cartoni animati, come una macchietta di Holly e Benji. Quasi mai come vere risorse di campo. E' ora di cambiare atteggiamento, di capire che vale la pena ampliare l'orizzonte, fino in Giappone. Come hanno fatto Real Madrid e Barcellona, con Kubo e Abe. Il talento c'è, basta solo scovarlo, coltivarlo, aspettarlo. Proprio come hanno fatto Rangnick e Klopp.