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  • Minotti, molto più di una gara da vincere
Minotti, molto più di una gara da vincere

Minotti, molto più di una gara da vincere

Nelle pareti dell’ufficio di Lorenzo Minotti campeggiano un collage delle formazioni del Cesena dal 1940 ad oggi, una gigantografia di Edmeo Lugaresi e la pergamena celebrativa del sindaco dopo l’ultima salvezza. Sulla scrivania, una statuetta di Padre Pio, retaggio di una fede religiosa che lo ha sempre accompagnato.
Minotti, come nasce il suo rapporto così intenso con la fede?«I miei non erano soliti andare a messa, mentre io da ragazzino frequentavo la parrocchia del mio paese, servivo in chiesa e facevo servizio di lettura. Quando il calcio è diventato un impegno più intenso mi sono un po’ allontanato. Ho ripreso a Parma grazie ad un compagno di squadra, Valeriano Fiorin, tra l’altro cresciuto nel vivaio del Cesena». Oggi la fede religiosa non sembra più un sentimento intimo: soprattutto nello sport, si fa di tutto per ostentarla.«Credo che questo sia dovuto al fatto che è cambiato l’approccio dei media. Io ho partecipato ai Mondiali del 1994 negli Usa, ma se penso all’attenzione di stampa e tv che c’è adesso sulla serie A e anche sul Cesena, praticamente ai Mondiali non ci filava nessuno». Però vediamo atleti scrivere libri sulla fede, ma anche magliette a tema religioso esposte dopo un gol. In quest’ultimo caso, non è un po’ banalizzata la religione?«Dipende da caso a caso e dal carattere delle persone. C’è chi usa la fede per sentirsi forte, avere una serenità interiore, mentre altri sentono il bisogno di comunicare quello che hanno dentro. Un personaggio pubblico poi è sempre sotto i riflettori». Come vive settimanalmente la sua fede?«In modo normale, come tanti altri. Vado a messa una volta alla settimana e ogni tanto mi prendo un po’ di tempo per pregare, in chiesa a casa o anche in auto mentre mi sto spostando. Sono molto legato all’abbazia del Monte: è il luogo in cui mi sono sposato e a volte mi piace tornarci per stare un po’ da solo con me stesso». C’è un santo a cui si sente legato?«No, direi invece che la fede e i santi sono legati a momenti importanti della mia vita. Per esempio questa statuetta di Padre Pio sulla scrivania è legata a un periodo che non dimenticherò mai». Ce lo racconta?«Agosto 2001, avevo appena smesso di giocare dopo una serie di infortuni ed era un momento molto particolare per me. Ricevo la chiamata di Tanzi e in men che non si dica divento il team manager del Parma. Tutti gli altri dirigenti sono in ferie e nel giro di un giorno devo organizzare la trasferta in aereo per un torneo proprio a San Giovanni Rotondo. Non avevo nessuna esperienza, è stato come fare un tuffo in piscina per scoprire se sai nuotare. È andata bene e ho comprato la statuetta per ricordo». Ci sono uomini di fede che ammira in modo particolare?«Tramite Cesare Prandelli ho conosciuto Fra’ Elia del convento di Calvi dell’Umbria. Una persona che emana una forza e un’energia incredibili». Da cattolico praticante, si identifica in tutti i principi della chiesa?«La società è cambiata e ci sarebbero tanti punti su cui ragionare, per esempio la contraccezione o il celibato dei sacerdoti». Il suo essere religioso le ha creato problemi nel mondo del calcio?«A volte ti accorgi di qualche commento malizioso, ma passa tutto in secondo piano. Avere fede dà solo vantaggi, dà una forza enorme». Lei è a contatto con tanti giovani, nel calcio e fuori: che idea si è fatto delle nuove generazioni?«Nei nostri ragazzi ci sono più valori di quello che si pensa, magari c’è solo più difficoltà ad esprimerli. Poi il calcio è lo specchio della nostra società: ci sono gli educati e i maleducati».Cosa prova quando sente una bestemmia?«È un gesto poco intelligente, sia che avvenga su un campo da calcio, sia che avvenga fuori». Da dirigente è mai intervenuto su qualche giocatore che esagerava?«Che io ricordi, no. Si interviene quando è il caso, poi ogni gruppo ha i suoi valori». Secondo lei è importante che una squadra abbia un punto di riferimento religioso?«A Cesena fino a qualche anno fa c’era don Guido Rossi (parroco di San Mauro in valle, ndr), ora questa figura manca ed è un peccato. Quando ero a Parma ci seguiva un frate che tra l’altro è nato a Gambettola, padre Lorenzo. Aveva un grande carisma, aveva sempre una parola d’aiuto per l’allenatore o i giocatori». Che aiuto poteva dare alla squadra?«Trovava sempre le parole giuste e per i giovani è importante avere un punto di riferimento: aiuta a dare il giusto peso alle cose della vita». Senza la fede, pensa che sarebbe stato un giocatore diverso?«La fede mi ha dato molto equilibrio, è stata una compagna preziosa. Quando giocavo a Torino ho vissuto un momento professionale difficile, ero molto avvilito. Poi però in quel periodo è nato Andrea, il mio secondo figlio, e allora ripenso a San Paolo e penso che proprio abbia ragione. Sapete cosa dice San Paolo?».Cosa dice?«Dice che tutto concorre al bene, per chi ama Dio. Ecco cosa intendo per dare il giusto peso alle cose». Come si conciliano carriera, famiglia e fede religiosa?«Il calcio è importante per me, ma fede e famiglia sono i miei punti di riferimento. A cavallo dei Mondiali del 1994, feci due-tre campionati favolosi con il Parma, stagioni che non dimenticherò. Però non ero mai a casa e un giorno mio figlio Alex mi dice: “Babbo, da grande voglio fare il calciatore perché così sto sempre insieme a te”. Capite cosa intendo per dare il giusto peso alle cose?». Non si sente un po’ un ufo quando va al calciomercato a Milano?«Il mercato a Milano non mi piace: c’è confusione, superficialità, si parla di tutto e di niente. Il calcio che amo io è programmazione, scouting, analisi dei giocatori». Quale è il comandamento più difficile da applicare nel calcio?«Non desiderare la roba d’altri». Da professionista del calcio che frequenta ambienti religiosi, si è mai sentito a disagio per il suo tenore di vita?«Io so cosa vuol dire avere poco e ho sempre cercato di non sprecare. Sia da giocatore che da dirigente, ho cercato di dare il giusto peso ai soldi». Da giocatore, è mai stato avvicinato da qualcuno per combinare una partita?«No, mai. Leggendo le cronache di questi giorni, ammiro quello che ha fatto Farina a Gubbio». Come mai alcuni ex calciatori cadono nel giro delle scommesse?«Quando sei in auge, tutti ti cercano e tutti ti vogliono, poi per molti la fine della carriera può essere un trauma. Bisogna essere bravi a capire che c’è un inizio e una fine e in questo la fede mi ha aiutato molto». Che valore dà ai pellegrinaggi o ai ritiri spirituali?«Mi piacerebbe fare il “camino di Santiago”, mentre un paio di anni fa a Pisa ho provato l’esperienza in un centro di meditazione vipassana». In cosa consiste?«Tre giorni di ritiro in un centro in cui vige il silenzio e non si può parlare. Era il novembre del 2009, mi ero dimesso dal Cesena ed ero nel pieno del mio anno sabbatico. Tre giorni senza parlare con nessuno: un’esperienza fortissima». Senza nessuna eccezione?«Dentro il centro di meditazione non si poteva parlare, però mi presi due ore di libertà».In che modo?«Una sera decisi di uscire dal centro di meditazione e mi misi due ore in macchina ad ascoltare la radio».

Cosa trasmetteva la radio?«Cesena-Torino, posticipo serale di serie B».


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