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  • Montella e i giovani:| 'Pensate alla scuola'

    Montella e i giovani:| 'Pensate alla scuola'

    A Vincenzo Montella non serviva il fallimento nel mondiale della nazionale italiana per capire che le cose a livello di settore giovanile erano in crisi. Un anno fa cominciò la sua nuova carriera da allenatore con la Roma portando non solo i suoi 141 gol e 283 presenze in serie A, ma anche tante idee e una visione nuova di come una società di calcio dovrebbe far crescere campioni. Ha alternato il campo, Coverciano e corsi di aggiornamento alla Luiss. Ha allenato giovani di 14 anni ma non parlando solo di calcio. A Natale ha regalato a tutti i suoi ragazzi un libro, "L'alchimista" di Paulo Coelho con una dedica speciale "Per capire come inseguire e raggiungere un grande sogno". L'ex "aeroplanino" ha anche cercato di dare un'educazione sportiva ai genitori. Lettere per spiegare i danni del doping, l'importanza dell'alimentazione e soprattutto come gestire le esuberanze alla Balotelli e le depressioni per qualche panchina di troppo. "I genitori sono un grande problema. Troppe aspettative, troppa pressione sui ragazzi: sono tutti convinti di essere i papà di Totti".

    Montella, per far crescere campioni non basta insegnare calcio?

    "La prima domanda non deve essere come portare i giovani in serie A, ma come non creare degli infelici. Il calcio in Italia ha soprattutto un ruolo sociale. Delle migliaia di ragazzi che affollano i settori giovanili, arriva al professionismo una percentuale che sfiora l'1%. Di quelli che giocano nelle squadre Primavera, ad un passo dal professionismo, il 5% arriva in serie A e solo il 40% continua a giocare al calcio. Troppi giovani delusi, frustrati e senza titolo di studio. Una fabbrica di falliti".

    Non è sufficiente fare l'allenatore...
    "Non basta pensare solo alla tecnica. Le società di calcio hanno il dovere di pensare anche alla crescita della persona. Non serve insegnare solo stop e palleggi ma anche stimolare e curare la parte intellettiva dell'individuo: la convocazione per la partita dovrebbe tener conto anche dell'andamento scolastico. E negli staff dedicati ai settori giovanili dovrebbero esserci anche dei professori. Allenamenti e compiti. Avremo più campioni e meno infelici".

    Ma per far ripartire il calcio in Italia non basta qualche libro in più.

    "A questa "rivoluzione" dobbiamo affiancarne un'altra di cultura sportiva. Nei settori giovanili non serve vincere, non deve essere questo il fine. Quest'anno alla mia prima esperienza nel campionato "Giovanissimi nazionali" ho visto colleghi schierare giocatori che magari non sapevano stoppare un pallone ma erano alti 1.90 e fisicamente possenti. Era evidente che il loro unico scopo era vincere. Ma che senso ha? Il lavoro di un allenatore del settore giovanile si valuta da quanti ragazzi porta in prima squadra e non dalle coppe vinte".

    L'impressione è che non ci sia più una scuola Italia.

    "È vero ognuno va per la propria strada. Tante realtà diverse, anche di valore: penso ai vivai dell'Empoli, dell'Atalanta e della Roma. Intanto devono cominciare le società: metodo di allenamento unico, dai pulcini alla Primavera, con confronti settimanali tra i vari tecnici per verificare il lavoro. Così nasce una scuola, così nascono i campioni. Perché in Italia i talenti non mancano". 


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