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  • Napoli, tutti caporali:| DeLa alimenta la sceneggiata

    Napoli, tutti caporali:| DeLa alimenta la sceneggiata

    L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: Uomini e caporali (con la c minuscola!)

    La categoria degli uomini è la maggioranza (purtroppo s’illude) quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza (volutamente si sbaglia).

    Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama (nella fattispecie, i tifosi).

    I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque (è il profilo sia Mazzarri, sia di De Laurentis!).

    Dopo aver ricordato cosa volesse dire Totò nel mitico film del 1955 (titolo originale senza punto interrogativo perchè è una affermazione che distingue come è formata l’umanità), nel film ci sono tre ruoli essenziali.

    Primo: Totò (l’Uomo, Antonio Esposito).

    Secondo: Paolo Stoppa (il caporale che interpreta vari personaggi: il capocompagnia, Meniconi; il fascista, il colonnello nazista Hammler, il colonnello americano Mister Black – con quel cognome come può liberarci? – il giornalista Direttore di Ieri, Oggi e Domani (richiamo alla ciclicità delle vicende umane);  il piccolo imprenditore lombardo (ma oggi potremmo anche posizionarlo a Torre Annunziata emigrato a Roma).

    Terzo, il giornalista (Salvo Libassi o Gianni Partana).

    Utili allo svolgimento narrativo, lo psicanalista (Nerio Bernardi) e l’attricetta (Sylva Koscina, già allora in cerca di Ambasciare qualcuno, magari la squadra del Napoli nel mondo).

    Novantaquattro minuti (compreso recupero), ben diretti da Camillo Mastro5 (si firmava con lettere e numeri).

    E indovinate chi è il produttore? De Laurentis (Alfredo, state tranquilli).

    “Dunque dottore ha capito? Caporale si nasce, non si diventa! A qualunque ceto essi appartengono, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera!

    Nel dialogo tra Totò ed il medico che lo esamina, è racchiuso il senso del film. Dopo 50 anni, non basterebbe lo psicanalista per spiegare la ‘Farsa Napoli’, dove cambiano i personaggi ma tutto resta immutato (riecco Aurelio il Gattopardo).

    Allora, i tifosi partano da questa verità: caporali si nasce non si diventa, a qualunque ceto essi appartengono. Mazzarri e De Laurentiis hanno la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi mondi. Pensano alla stessa maniera! Per questo si sono presi ma sono destinati a lasciarsi.

    Che uno freghi l’altro purtroppo conta poco, che entrambi abbiano fregato Napoli e ed il pubblico calcistico – ma in generale i napoletani – è il problema irrisolvibile di questa città. E dell’informazione prona, invece di essere il cane da guardia del potere.

    In questa squallida vicenda non esiste chi ha ragione e chi ha torto. Poco conta se c’è qualcuno che ha più torto (Mazzarri…?). Conta che personaggi e interpreti alimentano una sceneggiata che mortifica.

    Certo è anche colpa nostra. Non si può essere in 50.000 a Napoli-Cittadella. Non si può cadere dalla labbra di un presidente di calcio, perchè o’ Napule fa sognare. Non si può omettere tutto, perchè i panni sporchi si lavano in famiglia.

    De Laurentis – il quale non capisce niente di calcio come per anni Ferlaino – s’è trovato per le mani questo Mazzarri, propinatogli da Marotta, per liberarsi dalla ‘corte serrata’. Il Napoli è esploso emergendo su difetti e mediocrità del calcio italiano, ovviamente con meriti propri ma non assoluti. Quando ci siamo svegliati dal sonno – almeno dal Cagliari in poi – abbiamo scoperto che il primo ad aver capito tutto è Mazzarri, pronto a non lasciarsi scappare l’occasione della vita (ma siamo proprio sicuri che la Juve lo voglia….???). E che De Laurentis ha tutto da guadagnare a fare la lagna dell’abbandonato di principio.

    Se la storia di Mazzarri afferma con chiarezza che la fuga  meglio pagata è suo elemento di continuità carrieristica, i 6 anni di De Laurentis presidente non possono nascondere che: 1. Giovanni Vanassori, aveva un contratto e fu strappato. 2. Si sono avvicendati 4 tecnici in 6 anni (Ventura, Reja, Donadoni, Mazzarri). 3. Marino era “un maestro” e l’allievo lo ha cacciato via  in malo modo (sempre troppo tardi). 4. In 6 anni oltre 100 giocatori hanno vestito al maglia azzurra, di cui oltre la metà inomignosamente.

    Perchè d’improvviso De Laurentis si sarebbe trasformato in Uomo, con la U maiuscola?

    Il suo decantato progetto è stato bocciato proprio da Mazzari che preferisce l’inferno del rilancio di Juve o Roma, o un ingaggio da qualsiasi altra parte, purchè sia lautamente pagato (non meno di 2 milioni netti perchè per 3 settimane  è stato in corsa scudetto).

    L’addio dell’allenatore, infatti, è un fuga dal Progetto Napoli, non fidandosi di De Laurentis.  A meno che: si comprimo 6 giocatori da Champions. Si faccia lo stadio nuovo. Si costruisca un grande centro sportivo per il settore giovanile e si investa sui giovani con valutazioni già milionarie come si sono decise a fare Inter e Juventus (abitudine consolidata in Spagna e Inghilterra). Insomma  si diventi competitivi sul serio, sulla base di tanti quattrini (almeno 100 milioni l’anno per 5 anni), grandi campioni e grandi manager.

    Qui cade anche parte dell’ipotesi mazzarriana, quella in parte condivisibile. Perchè Mazzarri ha in testa e aveva chiesto di fare tutto e da solo.

    Ma chi è Mazzarri? Non mi pare che abbia curriculum alla pari dei tecnici italiani che negli anni hanno fatto bene per anni. Non è Capello che prima di allenare – scudetto al primo anno – s’è smazzato a girare il mondo imparando come si fa. Non è Lippi che ha vinto quanto era riuscito solo a Bearzot, in 60 anni. Non è neanche Spalletti o Mancini che all’estero tra complimenti e litigi, sono da guinnes. Non è Ranieiri, minestra riscaldata, ma emancipatosi all’estero. Non è Zola, che perfino da Sardo ha imparato l’inglese oltre a poter insegnare, anche a campioni veri, come si calcia un pallone.

    Quindi De Laurentis la smetta di fare il caporale e provi a diventare un uomo. Lo faccia almeno per i napoletani che hanno pagato profumatamente tutto, ma proprio tutto quanto è il Napoli, oggi nelle sue mani.

    Nonostante tutto c’è ancora qualcuno nello sport che sa esserlo, vedi la Leopard Team che ha lasciato il Giro d’Italia rinunciando a soldi e grandi interessi e il Genoa che ha saputo coniugare lealtà e spirito di campanile.

    Aspettiamo, come faceva Sciascia. Il tempo è galantuomo e il giorno della civetta vicino: uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaquaraquà…!

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