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  • L'anti-tarocco dello Sporting Lisbona

    L'anti-tarocco dello Sporting Lisbona

    • Pippo Russo
    Quarantacinque minuti di campionato giocati con maglie che non vedrete mai più. È questa l’originale iniziativa anti-contraffazione inscenata ieri sera dallo Sporting Lisbona, in occasione della gara vinta 5-1 contro l’Arouca allo stadio di Alvalade. Per tutto il primo tempo sono state osservate le gesta di calciatori dai nomi simili ma non identici a quelli degli originali. Il portiere della squadra biancoverde e della nazionale Rui Patrício ha indossato una maglia con la scritta R. Patríssio. L’ex interista Schelotto è stato trasformato in Squeloto. E ancora, Coates è stato convertito in Couts, Ruben Semedo in R. Smedo, Bruno César in Bruno Cézar, William (Carvalho) in Williams, Adrien in Adriano, Slimani in Eslimani. I quattro gol del primo tempo sono stati realizzati, due a testa, da calciatori che indossavano le magliette coi nomi J. Dário e Guterres, corrispondenti a João Mário e Teo Gutierrez. E nella ripresa il quinto gol è stato messo a segno da Bryan Ruiz, che nel primo tempo era in campo con una maglia la cui scritta era Brian. Nell’intervallo ha provveduto lo speaker dello stadio di Alvalade a chiarire le idee agli spettatori rimasti disorientati da quello spettacolo. Le maglie facevano parte di una campagna anti-contraffazione, accompagnata dallo slogan: “Sembra la stessa cosa… ma non lo è”.

    Se l’intento dello Sporting Lisbona era quello di richiamare l’attenzione su un problema molto grave per i club di calcio, l’obiettivo è stato raggiunto. E in attesa che si scateni l’asta per quelle particolari maglie “finto false” (pezzi unici che adesso ogni collezionista di cimeli calcistici vorrebbe possedere) rimane in discussione il tema della contraffazione di merchandising calcistico. L’iniziativa dei Leões ci avverte che si tratta di un problema esistente non soltanto in Italia. Il che non rende meno grave l’emergenza che il calcio del nostro paese affronta su questo versante. Fra i motivi che determinano il ritardo industriale del calcio italiano, specie se ne viene comparata la struttura industriale e finanziaria a quella dei principali movimenti calcistici nazionali, è lo squilibrio fra ricavi da diritti televisivi e ricavi di altro tipo. Tale squilibrio è stato impietosamente fotografato dall’annuale Benchmarking Report pubblicato dall’Uefa lo scorso ottobre. Basato sui dati dell’anno 2014, il rapporto segnala come i ricavi dei club di serie A dipendano per il 51% dai diritti televisivi, mentre la biglietteria da stadio fornisce un misero 11% (praticamente i nostri club potrebbero giocare in stadi vuoti, o comunque popolati da spettatori non paganti, e in termini economici non ne risentirebbero più di tanto), e la voce “sponsorship and commercial” si ferma al 23%.

    Un dato, quest’ultimo, che relega la seria A dietro non soltanto alle altre quattro principali leghe europee (inglese, tedesca, francese e spagnola), ma anche a quella russa che grazie ai munifici sponsor di casa si piazza al terzo posto. Dentro questa composita voce di ricavi rientra anche il merchandising, per il quale le maglie originali dei club dovrebbero essere il pezzo forte. E invece in Italia acquistare una maglietta originale è una rarità, e a farlo si passa quasi da fessi. La diffusione delle maglie contraffatte è capillare, e se ne permette la vendita anche in prossimità degli stadi. Un’illegalità pressoché tollerata, alla quale si risponde ciclicamente con operazioni di polizia in grande stile che vanno a intaccare appena l’industria del falso. Ma dopo il clamore dei blitz si riprende con l’ordinaria illegalità, e continuano a rimanere inascoltati gli appelli dei club ai tifosi affinché mostrino una sorta di “patriottismo commerciale” acquistando soltanto prodotti originali.

    Forse, in Italia, un’iniziativa come quella dello Sporting Lisbona non desterebbe soverchia impressione. Tanto più che, in giro per il mondo, avvengono episodi che hanno l’effetto di rafforzare l’immagine dell’Italia come patria del tarocco calcistico. Lo scorso gennaio, in occasione di una gara del campionato boliviano, il Real Potosì e il Ciclón si sono presentate allo stadio con mute degli stessi colori. A un dirigente del Ciclón è toccato comprare in tutta fretta dodici maglie tarocche da una bancarella nei pressi dello stadio, sulle quali sono stati tracciati i numeri col pennarello. Erano maglie della Roma. Per la cronaca, indossando le casacche giallorosse il Ciclón ha perso 4-0.

    @pippoevai

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