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  • Pantani, la verità: non era solo quando morì e chiese aiuto senza risposta

    Pantani, la verità: non era solo quando morì e chiese aiuto senza risposta

    Perché Marco Pantani è uno dei campioni più amati e insieme discussi nella storia dello sport e non solo nel ciclismo?  
    Perché si dimostrò pressoché imbattibile sulle montagne, dove fece entusiasmare i tifosi quasi come ai tempi di Bartali e Coppi, ma subì poi una sospensione dalle corse molto discussa e morì ancora giovane, a 34 anni, in circostanze quasi misteriose. 
     

    Per molti Pantani non fu soprattutto il simbolo di un ciclismo diventato ostaggio del doping?  
    In quegli anni tanti corridori usarono farmaci vietati e alcuni in seguito lo confessarono, eppure Pantani in 12 anni di professionismo non risultò mai positivo all’antidoping.  
     
    Ma non morì per un eccesso di cocaina?  
    È quanto asserì l’inchiesta dopo la sua morte, avvenuta il 14 febbraio 2004. E paradossalmente fu quella l’unica volta in cui Pantani risultò positivo a una sostanza dopante.  
     
    Pantani assumeva cocaina anche quando correva?  
    Non venne mai rilevata nei tanti test ai quali si sottopose da corridore, ma è probabile che Pantani abbia cominciato ad assumere cocaina dopo lo choc per l’esclusione dal Giro d’Italia 1999, che aveva ormai quasi vinto, a due tappe dalla fine per ematocrito alto, cioè perché aveva il sangue troppo denso. 
     
    Perché si torna a indagare sulla morte del Pirata dopo dieci anni dalla sua morte?  
    La mamma Tonina e il papà Paolo non hanno mai accettato la tesi del suicidio involontario per overdose di cocaina. Insieme con i loro legali hanno raccolto una serie di dati e testimonianze che hanno convinto i giudici a riaprire l’inchiesta. 
     
    Ma è lecito pensare che la prima inchiesta non sia riuscita a fare piena luce sulle cause della morte?
    Secondo molti ci sarebbero tante incongruenze e contraddizioni che quantomeno lascerebbero molti dubbi sulle conclusioni delle indagini di dieci anni fa. Di sicuro, se è stata riaperta l’inchiesta, devono essere emersi elementi nuovi e importanti di valutazione.  
     
    Per esempio?  
    C’è l’ipotesi che Pantani non fosse solo nella stanza del residence in cui fu trovato senza vita. Lo farebbero pensare alcuni abiti che non dovevano essere lì, del cibo che il Pirata non amava e non avrebbe mai mangiato, il disordine troppo «ordinato» della stanza, una doppia, ma vana richiesta di aiuto che il Pirata fece alla reception, l’enorme quantità di cocaina trovata nel suo organismo come se fosse stato costretto a ingerirla, le escoriazioni sul suo corpo, i segni sul pavimento come se il cadavere fosse stato trascinato... Incredibile poi che l’hotel nel quale morì Pantani sia stato ristrutturato pochissimo tempo dopo, come se fosse urgente cancellare ogni prova residua.  
     
    Chi è riuscito, dopo tanto tempo, a trovare tanti nuovi indizi?  
    L’avvocato Antonio De Rensis, per conto dei signori Pantani, ha studiato i faldoni sia delle indagini di allora, sia quelli relativi al successivo processo. Ma non basta, perché sono stati sentiti di nuovo alcuni testimoni chiave di quella vicenda. È stata poi molto preziosa una perizia medico-legale eseguita dal professor Francesco Maria Avato, che ha aggiunto tantissimi elementi nuovi.  
     
    Ma perché queste cose non emersero subito?  
    È quanto eventualmente stabilirà questa seconda inchiesta. Di sicuro la prima autopsia sul corpo di Pantani sbagliò a indicare l’ora presunta della morte e si rivelò molto superficiale anche nel valutare alcuni dati di medicina legale che avrebbero potuto aiutare a fare chiarezza sul caso.  
     
    Chi avrebbe avuto interesse a falsificare l’esito dell’inchiesta?  

    Difficile dirlo, di sicuro Pantani era finito in un giro di droga che magari coinvolgeva anche persone molto importanti. Avrebbe potuto parlare e fare dei nomi.  
     
    Per questo potrebbe essere stato ucciso?  
    È questa la tesi sostenuta dai legali dei genitori di Marco. Ed è quanto dovrà appurare questa seconda inchiesta. L’ipotesi di reato è addirittura di omicidio volontario a carico di ignoti e alterazione del cadavere e dei luoghi. Il procuratore capo di Rimini, Paolo Giovagnoli, ha affidato il fascicolo a Elisa Milocco, giovane sostituto procuratore. Toccherà a lei far luce su quanto avvenne quel giorno.

    Giorgio Viberti per La Stampa

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