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  • Pellè, la vera storia del danzatore antimafia snobbato da Juve e Inter

    Pellè, la vera storia del danzatore antimafia snobbato da Juve e Inter

    Questione di Pellè. Questa è la storia di Graziano Pellè, “danzatore” del pallone, uno che a 29 anni sta per vestire per la prima volta la maglia dell’Italia, quella della Nazionale maggiore. Pellè non è un giocatore qualunque, non ha lasciato segni particolari in Italia, è cresciuto ed esploso in Olanda, nella terra bassa dell’Altissimo Johan Cruijff. Graziano, gol e tulipani:  14 in 4 stagioni all’Az Alkmaar dove lo volle Luis Van Gaal, non uno qualunque. Poi il botto: 50 gol con la bellissima maglia del Feyenoord. Cinquanta in 57 partire e due stagioni. Ora la Premier inglese e il Southampton: già 4 gol in sole sei partite e finalmente un  soprannome: the italian goalmachine.

    Pellè non è uno qualunque. Dicono sia il nuovo Luca Toni, non credo che il paragone regga fino in fondo.  È alto pure lui (un metro e 93 centimetri, stessa identica altezza) è grosso quasi come “Toni e furmini”  (84 chili contro 88) e questo può essere un elemento determinante nella carriera di un attaccante. Un fisico così lo devi allenare e sai che diventerà esplosivo non subito, ma con la maturità e la pazienza. È stato così per Toni, ma anche per un altro bomber di stazza e razza  “el comandante” Cristiano Lucarelli. Entrambi hanno avuto grandi carriere, entrambi hanno vinto la classifica dei cannonieri in Serie A e vestito la maglia della Nazionale e giocato all’estero. Toni ha vinto pure un Mondiale e una Scarpa d’Oro e ha fatto cose immense con il Bayern Monaco, prima di incocciare nel caratteraccio di  Van Gaal. Esatto, lo stesso tecnico che per primo intuì le potenzialità di Pellè.  Toni è esploso in serie A a 27 anni, nel Palermo. Poi però non si è più fermato, neppure nelle ultime due stagioni, con la maglia del Verona tornato in serie A. Pellè in Italia non è mai riuscito a convincere fino in fondo, non in Serie A. Ha raccolto qualcosa di meglio in B, con Crotone, Cesena e infine Sampdoria, dove  nella primavera di due anni fa fu determinante per il ritorno in serie A dei blucerchiati.

    Non so spiegare perché un attaccante con così tanta qualità non abbia mai sfondato nel nostro campionato. Non so cosa abbia in meno di Llorente, Balotelli o di quell’Icardi che veniva considerato troppo macchinoso per il tiki-taka del Barcellona. Credo, in verità, che Pellè non abbia molte qualità in meno degli altri attaccanti citati, penso che lavorando ancora un po’ sulle sue doti potrebbe fare benissimo con Juve, Inter, Milan o Roma. Solo che nessuno in Italia ha voglia di lavorare sui giocatori e sulle loro qualità: meglio tutto e subito, meglio l’”usato” sicuro. Meglio lasciare che Pellè emigri. Ma qui ecco un altro pezzo della storia di Graziano.  Ho avuto il piacere di incontrarlo e intervistarlo un bel po’ di anni fa. Lui era un emigrato salentino  in Olanda. Io ero un inviato della Gazzetta, in Olanda (più precisamente a Groningen) per una trasferta in Europa League della Fiorentina. Il giorno dopo la partita dovevo ripartire in aereo da Amsterdam, ma primi presi un treno. “Fammi conoscere Pellè”, dissi al suo procuratore, Romualdo Corvino. Lo incontrai a cena, mi pare che il ristorante si chiamasse la “Terrazza” di Alkmaar.  Ricordo con certezza che in quello stesso locale  gestito da italiani, molti anni prima, un’altra stella dell’Az firmò il suo contratto con il Genoa. Il suo nome era Jan Peters.  

    Con me e Pellè, quella sera ad Alkmaar, sedeva anche un giovane portiere argentino, silenzioso, educato, sorridente: Romero, un altro che in Italia pare non raccogliere mai quel che si merita. Con Pellè parlammo della sua passione per la danza, “la praticavo da bambino, mi sento un danzatore, non un ballerino”.  Parlammo di quello che gli olandesi pensavano della politica italiana e di Silvio Berlusconi. E lui mi spiegò che significa crescere rispettando la legge in una terra dove è fortissima l’infiltrazione mafiosa della Sacra Corona Unita. Mi raccontò come si vive in quel pezzo di provincia olandese, ridemmo della moda di trasmettere 24 ore su 24 le immagini di un caminetto accesso sui televisori a schermo piatto della Nec . Dopo il dolce mi raccontò del suo presidente, un  ex poliziotto diventato ricco costruendo dal nulla una società di vigilanza privata (destinata anni più tardi a fallire miseramente). Era giovedì sera, non parlammo di  “gnocca”, contratti miliardari o fuoriserie. In verità parlammo pochino pure di calcio. Non servirono troppe domande, bastava ascoltare i racconti di un ventenne che scopriva l’Europa. Nelle sue parole c’era più curiosità che nostalgia. A fine serata lui volle riaccompagnarci ad Amsterdam, non ricordo neppure che auto guidasse, ma non era un granché.  Non so quanto sia cambiato Pellè, non lo sento più spesso, giusto per gli auguri di Natale.  Ricordo che dopo quell’intervista mi scrisse un brevissimo messaggio: “Grazie. Un abbraccio”. Un abbraccio, senza apostrofo. Certo, ovviamente si scrive così, ma purtroppo troppi giocatori e allenatori e dirigenti e giornalisti del pallone pare non lo sappiano. Ora, alla fine di questa storia, mi sono fatto un’idea più precisa. Non so se Pellè sarà il nuovo Toni. Però non mi rattrista più il fatto che non abbia ancora sfondato in Italia. E non mi addolora la sensazione che probabilmente non lo farà mai. Lui ha fatto di più, ha fatto meglio, ha sfondato in Europa. Ha allargato i suoi orizzonti e anche i miei. E sono davvero felice che Antonio Conte lo abbia capito.  

    Giampiero Timossi (giornalista Il Secolo XIX)
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    @GTimossi

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