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  • 'Più italiani e meno stranieri': sbagliato imporlo, in radio come nel calcio
'Più italiani e meno stranieri': sbagliato imporlo, in radio come nel calcio

'Più italiani e meno stranieri': sbagliato imporlo, in radio come nel calcio

  • Vanni Paleari
Pensieri, parole e sovranismo. Mogol sta con la Lega nella proposta di una quota minima di musica italiana nelle nostre radio. “Un terzo della programmazione giornaliera - afferma il il paroliere e presidente della SIAE - deve essere di produzione musicale italiana”. In una lettera agli associati e in varie interviste rilasciate negli scorsi giorno, Mogol spiega che il rock è italiano dai tempi di Battisti e che è ora di fermare gli stranieri. “Bisogna difendersi, come con l’immigrazione - continua l’autore - e Salvini l’ha diminuita”. 

Ora, ammesso e non concesso che un partito politico al Governo possa (nella proposta dell’onorevole Alessandro Morelli) pontificare sulle modalità di miglioramento e sviluppo della musica italiana e che lo stesso Mogol (grande autore che però forse si è dimenticato di essere diventato grande anche grazie alle traduzioni di brani di Bowie e Dylan) possa porre veti di palinsesto a radio private e libere, ma come potrebbe questa “quota italiana obbligatoria” giovare al nostro movimento musicale? Da anni, tutto ciò che di più interessante e all’avanguardia esiste nella musica italiana prende ispirazione dalle scene musicali straniere, siano esse britanniche, statunitensi, latino americane e addirittura africane. Se iniziamo a ridurre queste influenze anche dalle radio, rischiamo di non evolverci più. 

Francesco De Gregori ha risposto così a Mogol: “E’ una stronzata: non oso immaginare la mia vita da musicista senza tutte le canzoni straniere che ho ascoltato da ragazzo”. Che poi forse, più che di quantità è un problema di qualità. Poche radio oggi scoprono talenti e scommettono su gruppi o cantanti nostrani che bene stanno facendo al movimento, emergendo grazie a ottime etichette discografiche talent come Bomba Dischi (la label di Calcutta, Carl Brave e Giorgio Poi), Undamento (l’etichetta di Coez, Frah Quintale e Ceri), Antenna Music Factory (Willie Peyote, Lo Stato Sociale e Dutch Nazari) o Asian Fake (Coma_Cose e Ketama 126) ma che troppo di rado vengono trasmessi tra le frequenze delle nostre emittenti a favore dei soliti artisti costruiti a tavolino dall’industria discografica più mainstream. 

Bisogna scommettere sui talenti italiani, indipendentemente dalle percentuali, come nel calcio sarebbe opportuno investire nei vivai prima ancora che lamentarsi degli effetti della sentenza Bosman. E’ chiaro che per ottenere risultati bisogna avere pazienza, nella musica come nello sport, perché i Dalla, Guccini e De Andrè, così come i Baggio, Totti e Del Piero non si costruiscono dall’oggi al domani. 
 

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