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Prandelli e i fiori del male

Prandelli e i fiori del male

  • Fernando Pernambuco
    Fernando Pernambuco
Tutte le interviste, non legate ad un fatto di stretta attualità, sono leggibili a diversi strati o livelli. Nella bella intervista a Prandelli, sul “Corriere dello Sport” di oggi, si riassumono fatti noti (il dramma della lunga malattia della moglie, alcune vicende professionali non proprio esaltanti…) e meno noti (lunghi giorni di solitudine, un padre solo con i suoi figli…), ma, soprattutto, si disegna il ritratto d’un uomo non comune, capace di attraversare gli alti e i bassi (non pochi) della sua carriera, mantenendo intatta una qualità, che le avversità della vita s’incaricano, molto spesso, di cancellare: la sensibilità. Ora, in un mondo di vincenti, costi quel che costi, la sensibilità non pare certo un’arma da brandire.
 
Da quello che Prandelli ci racconta emerge non solo la figura di un uomo che ha molto sofferto, ma anche quello di chi non ha paura di essere stato sconfitto o tradito. Prendete la parte più nota e dolorosa della sua vicenda, la morte della moglie, il suo stordimento, la difficoltà a ritrovare, coi figli, il filo d’una vita. Oppure prendete il suo ricco e tormentato amore con la Fiorentina e con Firenze: era stato dipinto come incerto (anche se costruì la più bella squadra viola degli ultimi anni), titubante, pronto a tradire, ma fu lui “a essere tradito”. Prendete le vicende della Nazionale, sulle quali candidamente confessa che “nella finale con la Spagna, s’era fidato di 4 o 5 giocatori, dichiaratisi in perfetta forma fisica e invece troppo stanchi per giocare”. O, anche tutte le sue avventure all’estero (Turchia, Spagna) affrontate con troppa “ingenuità”.

Prandelli inanella una serie di fallimenti senza sminuirne la portata e senza accampare scuse o trovare colpevoli. Va avanti, sobrio, compassato, silenzioso, lui un riflessivo, che ora è approdato alla corte d’un emotivo come Preziosi.
 
Dice di aver imparato molto, come allenatore, da alcuni giocatori e di aver condiviso, con altri, i loro dolori. Ricorda con tenerezza quelli che gli confessavano i propri drammi amorosi e le ore passate ad ascoltarli, i consigli pacati, il gioco come terapia. Parla anche della propria vita sentimentale e s’intravedono le venature d’un rapporto non sempre facile con una donna (Novella Benini) di travolgente vitalità.

Insomma, sembra sempre possedere il coraggio di non barattare o svilire per alcuna ragione, la propria sensibilità. Ha attraversato i suoi inferni e sa riconoscere quelli degli altri, come se anche nei dolori sapesse trovare, pascolianamente, le chiavi della vita.
 
Sarebbe piaciuto al “maudit e santo” Baudelaire che “per i lettori metteva il proprio cuore a nudo”: sì, Prandelli ha saputo cogliere i fiori del male. Restando coi fiori.

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