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  • Prandelli: 'Io alla Juve? No per colpa della Fiorentina, lasciamo stare... Heysel? Ci obbligarono a giocare'

    Prandelli: 'Io alla Juve? No per colpa della Fiorentina, lasciamo stare... Heysel? Ci obbligarono a giocare'

    Cesare Prandelli, allenatore del Genoa, si racconta a Tuttosport, tornando anche sul suo mancato passaggio alla Juventus che, prima della Nazionale, sembrava cosa fatta: "La Juve? Vero, c’era quella possibilità. Lasciamo stare… Allora, una volta per tutte, la vuoi sapere la verità? I dirigenti (della Fiorentina, ndr) mi dissero che ero libero di trattare con chiunque. Poi una mattina apro un giornale e leggo un attacco feroce per questa cosa. Incredibile: mi avevano dato loro il via libera! Allora risposi: bene, io sono pronto a firmare per cinque anni con la Fiorentina. E loro mi “accasarono” in Nazionale… Un’altra cosa, solo per essere chiari. Io avevo un altro anno con la Fiorentina. Me ne andai, lasciando quel contratto sul tavolo, senza pretendere nulla, la classica buonuscita, malgrado avessero una gran fretta di chiudere con Mihajlovic".


    SUL FIGLIO SUO COLLOBORATORE - "Sì, fu creato un polverone dal niente. Io lo inserii nello staff della Nazionale non perché fosse mio figlio, ma perché mi serviva uno con le sue competenze. E comunque lui lo fece gratis, senza prendere una lira. Ma questo fu taciuto, non era funzionale al problema che si voleva creare".

    SULLA NAZIONALE - "Arrivata troppo presto? Hai ragione. Ci ho pensato, sì, anch’io credo che sia arrivata un po’ troppo presto. Però ci furono due cose a spingermi. Primo l’amore per la Nazionale. Se ti chiama l’Italia, come fai a dire no? E poi ci fu una dichiarazione della Fiorentina: “Lo abbiamo accasato alla Nazionale”. Dissero così: lo abbiamo accasato. Malgrado avessi ancora il contratto, mi sembrava chiaro cosa volessero".

    SULL'HEYSEL - "E’ una partita che nessuno avrebbe voluto giocare, Boniperti per primo. Noi, dagli spogliatoi, non capivamo cosa era successo. In tv si vedevano cose che noi neppure immaginavamo. Famiglie di tifosi passavano dallo spogliatoio e giustamente non ci degnavano di uno sguardo, pensavano solo a scappare e noi li aiutavamo a passare dall’altra porta. Venne Boniperti e ci disse: “Sembra che ci sono stati due morti, non giochiamo”. Ma il delegato Uefa si impose e ci mandò in campo. Tutti noi eravamo convinti che si sarebbe giocato un solo tempo per organizzare i soccorsi e il deflusso. All’intervallo sempre lo stesso delegato ci obbligò a giocare anche il secondo tempo. Io entrai a dieci minuti dalla fine, un’esperienza terribile"

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