Prima di riaprire gli stadi pensiamo alla scuola dei nostri figli
Eppure sarebbe bastato fare attenzione, ieri, alle parole del professore americano Fauci per comprendere quanto e in che modo l’Italia sia riuscita, in questo momento drammatico per il mondo intero, a proporsi come ”modello” scientifico e sociale per tutte le nazioni del pianeta. “Se ciascun Paese avesse operato come avete fatto voi oggi il mondo non si troverebbe in questa condizione tragica”, ha detto chiaramente l’uomo di scienza che Trump non ha mai voluto ascoltare. Di questo dovremmo andare tutti fieri.
Non è il momento di mollare. Almeno non bisognerà farlo fino a quando, speriamo presto, non verrà annunciato che il vaccino è stato trovato, funziona ed è a disponibilità di tutti. Soltanto a quel punto, dopo aver zittito e reso innocui i prevedibili no vax, potremo toglierci le mascherine e darci un bacio. Farlo prima del tempo, come insegnano Spagna e Paesi Balcani, vorrebbe dire ripiombare nell’incubo e devastare le economie già malate.
In questo quadro si deve collocare anche la previsione che riguarda la riapertura degli stadi ad un pubblico regolamentato e protetto quando ricomincerà il campionato. Il ministro Speranza ha lasciato intendere che per quella data esiste una possibilità concreta di arrivare ad una ripresa. Un ottimismo che non mi pare condivisibile anche perché ancora troppo fresco è il ricordo che fu proprio una partita di calcio a scatenare l’inferno.
Nella tabella della auspicata rinascita esistono priorità ben precise. Una di queste, forse la più importante, riguarda tutti i nostri figli ed è rappresentata dalla scuola. Sapere come, in quale modo e con quali garanzie i ragazzi potranno tornare alle lezioni in presenza senza correre alcun rischio e supportati da un numero adeguato di insegnanti deve essere il primo obbiettivo di settembre. I genitori potranno e dovranno continuare a guardare le partite in televisione. Il calcio può attendere, la scuola no.