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  • Processo al calcio:| Al lavoro 19 procure d'Italia

    Processo al calcio:| Al lavoro 19 procure d'Italia

    Giustizia sportiva: Agnelli vuole riformare, Moratti: "No, va bene così".
    Processo al calcio: è un mondo davvero malato?
    Quella che una volta era un’eccezione sta diventando la normalità. Le Procure della Repubblica si occupano sempre più spesso di sport. Direttamente o indirettamente, volontariamente o casualmente poco importa. Non ci sono isole felici, vere o presunte, per la magistratura ordinaria. Le coincidenze, dando per valido il parametro di Agatha Christie che a tre diventino una prova, sono già andate a farsi benedire da un pezzo. In Italia, in questo momento, sono almeno ventinove le indagini, i procedimenti penali e i processi in corso che toccano argomenti e personaggi sportivi. Troppi per pensare che sia solo un fenomeno casuale. Nell’elenco dei reati ipotizzati dalle varie Procure ce ne sono di tutti i tipi: riciclaggio, associazione a delinquere, concussione, bancarotta fraudolenta, spaccio di sostanze stupefacenti, evasione fiscale, aggiotaggio, somministrazione e uso di sostanze proibite, omicidio colposo e chi più ne ha più ne metta. Da Moggiopoli a baskettopoli, il catalogo dei neologismi e delle accuse è vasto tanto quanto quello degli accusati, in cui è rappresentata ogni componente dell’universo sportivo. Non mancano atleti di tutte le categorie, dirigenti di qualsiasi qualifica e grado (anche arbitrali), medici, massaggiatori, farmacisti e fanno capolino ovviamente i tifosi. Benvenuti in Italia, il paese con il maggior numero di Procure alle prese con indagini che riguardano qualcuno o qualcosa che ha a che fare con lo sport. Ora sono diciotto, da Bolzano a Palermo, e qualche mese fa erano addirittura di più. A settembre la Procura di Genova ha richiesto l’archiviazione per la presunta frode sportiva nel derby Genoa-Samp del maggio 2011 e a febbraio quella di Cagliari ha prosciolto definitivamente il presidente della Federtennis Binaghi e il numero uno del comitato sardo Montaldo dall’accusa di mobbing sportivo nei confronti di due giovani tennisti. Due eccezioni che, però, confermano la regola di uno sport sempre più alle prese con il codice penale. Spesso e volentieri ci si è ritrovato quasi per caso, scivolandoci durante indagini di tutt’altro tipo, ad esempio sulla camorra. Altre volte, invece, è andato a sbattere la testa da solo, trascinato dal vortice di interessi leciti e soprattutto illeciti. Le Procure, d’altra parte, non disdegnano la visibilità che certi fascicoli, più o meno consistenti, comportano. Ogni traccia è utile, ogni filone merita di essere approfondito. In un simile garbuglio di situazioni totalmente differenti l’una dall’altra, a soffrirne è soprattutto la giustizia sportiva, costretta a inseguire quella ordinaria su un piano che la riguarda direttamente ma con strumenti nemmeno paragonabili. In un clima di montante diffidenza per la fuga di notizie, il rapporto è tutt’altro che agevole. Ognuno tende ad andare avanti per la propria strada. La giustizia ordinaria si è affidata completamente al pentito Carobbio, quella sportiva ha in un certo senso ridimensionato la credibilità del grande accusatore di Antonio Conte. Una non si è mai allontanata dalla linea dura, l’altra ha scelto la via dei patteggiamenti. E ora, proprio per questo motivo, il carteggio degli atti dalla Procura di Cremona alla Procura Federale si è praticamente interrotto. Tempistiche, procedure e metodiche di lavoro sono spesso inconciliabili. Le invasioni di campo della giustizia ordinaria, d’altra parte, hanno riaperto l’annoso dibattito sulla riforma di quella sportiva. Andrea Agnelli invoca cambiamenti radicali, Massimo Moratti preferisce indossare i panni del conservatore («La giustizia sportiva va bene così, quando c’è qualcosa che non funziona si invoca sempre il cambiamento»). Divisi su tutto, soprattutto su questo.
     


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