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  • Purtroppo l’Italia del calcio non è un Paese per donne
Purtroppo l’Italia del calcio non è un Paese per donne

Purtroppo l’Italia del calcio non è un Paese per donne

  • Marco Bernardini
    Marco Bernardini
L'​annullamento del campionato di calcio femminile ha ufficializzato una situazione ben conosciuta. L’Italia del pallone purtroppo non è un Paese per donne. Mi piacerebbe aggiungere “non lo è ancora”, ma dubito fortemente che le cose possano cambiare a tempi medio-brevi. Ideologicamente e socialmente è piuttosto ripugnante dover prendere atto di questo “status”, ma è altresì necessario riflettere sul perché una simile posizione anti-storica si pone come un teorema praticamente incontrovertibile a dispetto della ragione, del buon senso e oltre la facile retorica.

Per farlo, senza giustificare un bel nulla, occorre essere realisti. Le ragazze del pallone, sino a questo momento, compongono un “movimento” di dilettanti. Non percepiscono un vero e proprio stipendio, ma un rimborso spese. Le società meno ricche e potenti si trovano in grande difficoltà economica e alcune di esse si vedono costrette a dichiarare il fallimento. Gli stadi nei quali si svolgono le partite sono tristemente semivuoti. L’appeal televisivo, dopo i record di ascolti fatti registrare durante il Mondiale, è inesistente o quasi. E dunque questa la fotografia dettagliata del calcio femminile in Italia.

Un dato di fatto che fatalmente spinge coloro i quali dovrebbero gestire il meccanismo a farsi da parte perché, a differenza del pallone professionistico, il “gioco” prodotto dall'altra metà del cielo non vale la candela sotto il profilo degli interessi economici. Mi rendo conto che si tratta di un’analisi cinica e per certi versi esecrabile. Ma purtroppo volendo ignorare questo tipo di realtà l’eventuale battaglia avrebbe un sapore donchisciottesco. Il problema di fondo arriva da molto lontano ed è sostanzialmente culturale laddove va preso atto che il pianeta calcio, a differenza di altre discipline  sportive che possono essere frequentate dalle donne con pari dignità, continua a esistere e resistere protetto dal muro del maschilismo e dell’omofobia.

Se ciò non accade in Paesi socialmente più progrediti e meno schiavi di antichi tabù oscurantisti è proprio per una questione di educazione civica e sociale.
Una forma mentis, la nostra, per la quale non proviamo neppure un minimo di vergogna o di autocritica. Del resto le ragazze del pallone possiedono ottimi motivi, non dico per trovare consolazione ma almeno per tentare di farsene una ragione, osservandosi intorno e vedendo quanto e in quale desolante misura la “differenza di genere” sia ancora una macchia sull’abito del nostro Paese. A tutti i livelli professionale e non con lo slogan “liberazione femminile ed eguaglianza” che è rimasta come etichetta appiccicata con lo sputo su di un guscio vuoto.

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