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  • Quella voglia matta di calcio pur sapendo che sarà diverso

    Quella voglia matta di calcio pur sapendo che sarà diverso

    • Marco Bernardini
      Marco Bernardini
    Sopra le mascherine, c’è una strana luce negli occhi della gente. Specialmente nelle persone  che hanno superato più della metà della loro aspettativa di vita. Gli anziani, insomma, che si sono scoperti come la categoria più fragile e attaccabile dal virus. Anche attraverso le lenti appannate  è possibile notare i loro sguardi che non sono di paura perché lungo il loro cammino ne hanno viste da vendere, ma di malinconica rassegnazione. Il che non significa desiderio di abbandonare baracca e burattini, semmai la presa di coscienza che un certo passato anche molto  prossimo non tornerà.

    Una luce che proietta sullo schermo personale di ciascuno i film di tante vite vissute e tutte quante legate da immagini condivise fino a quando, come una biblica maledizione, la natura ci ha presentato il conto altissimo da pagare per non essere stati in grado di essere buoni e rispettosi inquilini. Immagini, in bianco e nero o a colori, che fanno un poco male al cuore perché tutti siamo consapevoli che non ci sarà più replica. Almeno non nei modi in cui noi vecchi le abbiamo vissute e molto godute.

    L’ultima fila della galleria di un cinema dove, allo spettacolo pomeridiano del sabato, ci si rifugiava con la fidanzatina per pomiciare e poi uscire dalla sala senza manco sapere che film davano. Il cono gelato da gustare stando seduti in gruppo sul muretto con le gambe a ciondoloni. Le feste nelle rotonde sul mare con il disco che suonava e due corpi erano uno solo. I tuffi nel fiume e c’era sempre qualcuno  che faceva finta di annegare. I giri dell’isolato quando la mamma ci mandava a comprare il latte e ne approfittavamo  per andare nei sottoscala dei bar dove i grandi si sfidavano a biliardo nella goriziana. Le lettere scritte mentre dovevamo fare i compiti e infilate nelle buche della posta della ragazzina che non ci filava  perché stava con uno con l’automobile.  Le riunioni e le danze pellerossa sulla spiaggia, sotto la luna, e poi a mezzanotte tutti in acqua. Le infinite partite di pallone con gli zainetti a fare da pali, tre corner  un rigore. Lampi di luce negli occhi, sopra le mascherine.

    L’ultimo più grande spettacolo dopo il big  bang a resistere è stato il calcio. Fino alla domenica che ha preceduto la chiusura eravamo aggrappati a quel “vizio” forse un poco assurdo ma tanto consolatorio anche se gli anziani facevano fatica a riconoscerlo per quel che lo avevano vissuto e amato. Ci eravamo fatti una ragione anche di tutte le esagerazioni e le storture che stavano  trasfigurando e sfigurando il nostro gioco preferito. Certo, facevamo paragoni trai campioni del passato quelli di oggi. Tra i presidenti storico e quelli imprestati al pallone. Tra il tifo per bene e quello volgare. Ovviamente non c’era gara, ma egualmente non ce la sentivamo di rinnegare la nostra passione.

    E adesso? Con ogni probabilità il giocattolo ci verrà restituito quanto prima. Troppo è l’interesse economico che ruota intorno al pallone per non far ripartire la macchina correndo anche qualche rischio. Dagli allenamenti individuali si passerà a quelli di gruppo per poi rivedere i nostri eroi  tornare in campo a sfidarsi. Certo che li rivedremo. Da lontano. Dai nostri salotti. Più che mai virtuali e quasi alieni. Niente camminate per raggiungere lo stadio. Nessuna sosta al banco del paninaro. Addio incitamenti, cori, sfottò e sventolio di bandiere. Scomparsi gli appuntamenti del dopo partita in pizzeria che pagava chi aveva perso. Nessun racconto da riservare per il lunedì sul posto di lavoro. Nessuna attesa fuori dallo stadio per “vederli passare” da vicino. Nessun biglietto strappato da conservare come souvenir.

    Andrà così per molto tempo. Ma anche dopo quando ogni cosa, si spera, sarà risolta la normalità ritrovata sarà diversa. Molto diversa. E’ scritto, sopra mascherina, nello sguardo degli anziani con quella loro strana luce negli occhi.

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