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  • Remake Del Neri:| "L'ultimo tram per l'Europa"

    Remake Del Neri:| "L'ultimo tram per l'Europa"

    Delle undici finali che furono il recente manifesto per salvare la stagione, ne sono rimaste otto, anzi una, quella di stasera a Roma, contro i giallorossi: «Se la Juve la perde - ammette Gigi Del Neri - perde anche il tram delle chance per entrare dentro». Di Europa, si parlava, più quella di scorta griffata League, che la Champions, pur non esclusa, almeno per dovere d'ufficio. Mai smettere di lottare, fin che la battaglia non è finita, si sforza di ripetere ai suoi il tecnico: «Perché gli obiettivi ci sono sempre: vincere le partite, battere la Roma, e se succede vai a meno due da loro. Raggiungere l'Europa. Anche se al momento la classifica non è positiva, non abbiamo intenzione di abbandonare le nostre abitudini quotidiane, ovvero dare il massimo, sempre: nel calcio quel che non è fattibile un giorno, lo è la mattina successiva».


    Ultimo corriera per la Juve, allora, che però ne ha già persi un deposito intero, e per Del Neri, in una città dove smarrì la sua prima guida metropolitana dopo gli anni fantastici al Chievo. Gigi bravissimo con le piccole, molto meno con le grandi, si cominciò a dire, anche perché qualche mese prima neppure l'avevano fatto cominciare al Porto orfano di Mourinho: solo chiacchiera da bar? «Sbagliata, semmai», ripete ogni volta lui. «Al Porto mi lasciarono solo un mese, ma per un motivo: volevo dare fiducia a giocatori come Bosingwa, Bruno Alves, Quaresma, Seitaridis. Non me lo hanno permesso: ma forse aveva ragione il sottoscritto. E oltre alle chiacchiere ci sarebbero anche altri fatti». Che giornali e tv mai tramanderebbero: «In quel mese, in un'amichevole a Toronto, battemmo il Liverpool, futuro campione d'Europa: queste cose non si scrivono, però».

    Poi arrivò la Roma, a settembre, al posto di Rudi Voeller: «Non mi cacciarono, come molti dissero, me ne andai io, quando eravamo settimi, dopo 34 punti in 24 partite. Non era il mio posto». L'alto rischio è che da giugno non lo sia neppure la Juve, la sua grande occasione, guadagnata dopo il miracolo alla Samp. Per errori, certo, ma pure per un'epidemia di infortuni che sfiora le annate precedenti, disastrose. Che poi si tratti di guai traumatici o muscolari, all'incasso , pochissimo conta. Avendo un equipaggio inferiore alla migliore concorrenza, per arrivare nelle prime quattro alla Juve sarebbe dovuto andare quasi tutto bene: è filato quasi tutto male.

    «Gli infortuni ci hanno penalizzato e gennaio è stato un mese abbastanza duro: abbiamo perso Iaquinta e Quagliarella, e poi Felipe Melo, che per l'espulsione è stato fuori quasi un mese». Per non parlare di De Ceglie, l'unico terzino che, abbinato a Marchisio esterno di centrocampo, aveva fatto girare l'assetto: «Manca da cinque mesi». Ora si sono rotti Chiellini e Del Piero. E ieri, giusto per avere l'infortunio quotidiano, nell'ultimo allenamento si sono fermare Bonucci (dolore all'alluce del piede sinistro) e Marchisio (botta al collo in un contrasto): pare nulla di grave, ma la verifica decisiva ci sarà oggi. Intanto, il capitano era tornato decisivo: «Ale era in gran forma e il suo infortunio è stato piuttosto banale: cercava di allungare la gamba e si è fermato». Chiellini s'è invece fatto male con l'Italia, ma Del Neri non fa polemica: «Quando si va in Nazionale bisogna essere disponibili in qualsiasi momento. La verità è che ci sono stagioni difficili, e questa lo è». Quasi come l'anno scorso, proprio quel che si voleva evitare.


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