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  • Roma| Quello che De Rossi voleva dire

    Roma| Quello che De Rossi voleva dire

    Stadio “Fattori” di L’Aquila è appena terminta la partita di beneficenza fra i padroni di casa e la Roma. In un clima sereno e disteso, caratteristico di una festa andata per il verso giusto che volge al termine ci siamo trovati a vivere un episodio a dir poco sconcertante, in totale distonia con l’evento. Con i mei colleghi Mario Corsi e Adriano Valentini. Una vera e prori aggressione verbale e fisica da parte di alcuni agenti di pubblica sicurezza. Il motivo tutt’ora sfugge a noi ed anche a chi ha assistito alla scena come spettatore. Forse la mia “colpa” è stata quella di esser stato scambiato per un tifoso. Stavamo, infatti, raggiungere il parcheggio dello stadio dove in quel momento si trovava la squadra. Per quanto assurdo questo possa sembrare nulla di più. Eravamo davanti al piccolo cancello che separa la tribuna dall’area di sosta riservata, insieme a noi alcuni tifosi che volevano raggiungere i giocatori per una foto o un autografo. Per lo più ragazzi molto giovani. Vedendoci sostare davanti al cancello siamo stati spintonati ed insultati da alcuni agenti che presidiavano la zona. In quel momento, mentre cercavo di qualificarmi, un agente fino a quel momento in disparte e sopraggiunto e mi ha colpito con uno schiaffo in pieno volto. Dopo il colpo uno degli agenti ha iniziato ad insultarmi urlando frasi di carattere razzista (“romano di *** /strong>”). Poi ancora spintoni e insulti. Il tutto sotto gli occhi increduli di altri agenti e di giornalisti. Ad evitare una situazione ben più grave di quella che stiamo raccontando hanno contribuito in modo determinante Adriano Valentini e Mario Corsi che hanno attirato l’attenzione dei presenti mostrando il tesserino da giornalista. Consapevolezza, quella di avere a che fare con dei giornalisti, che ha cambiato radicalmente l’atteggiamento dei quattro agenti. Malgrado la chiara richiesta da parte mia di venira a conoscenza delle generalità degli agenti questa si è rivelata una speranza vana. Al contrario la questione si è conclusa con una risposta strafottente: “Sono tua sorella". Rimane un mistero come si sarebbe conclusa la vicenda se gli agenti non avessero appreso che si trattava di un gruppo di giornalisti. Certo è che in un clima disteso e rilassato come quello di giovedì una situazione facilmente gestibile è stata resa isterica e violenta. Questo non può non portare ad interrogarsi su come questi agenti avrebbere operato in momenti di reale tensione.

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