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  • Roma:| Resta solo Totti
Roma:| Resta solo Totti

Roma:| Resta solo Totti

Non viene da Marte e lo ha detto. Arriva solo da un altro paese, diverso dal nostro. Luis Enrique non è italiano. Ma non perché sul passaporto la sua città di nascita è Gijon.

Al Franchi, oggi pomeriggio contro la Fiorentina in affanno più della Roma, l’asturiano gioca per il suo credo prima che per la classifica. Senza quei compromessi, a noi molto cari. «Non è una dittatura, sono solo regole. Ne ho messe tre e non dieci».

Sono, comunque, i suoi comandamenti. Così lascia a casa il miglior realizzatore della sua squadra, cioè mette in castigo il centravanti Osvaldo per lo schiaffone a Lamela, e anche Borriello, perché ha lavorato poco negli ultimi giorni dopo un guaio muscolare. Gli resta Totti, il capitano. Che ha la caviglia sinistra dolorante e che in questa stagione è ancora senza reti, un digiuno lungo come mai gli era capitato all’inizio di un’annata.

Sembra difficile che possa rinunciare anche a Francesco, assente già 5 volte su 12 gare di campionato per infortunio. Ma Luis Enrique non può garantire, a priori, il posto nemmeno a lui, 10 gol in carriera alla Fiorentina e 207 in serie A con la Roma, 2 reti qui nel torneo scorso e 262 in assoluto con la maglia giallorossa. «Nessuno ha dubbi su che cosa sia Totti per tutti noi, ma qui cerchiamo di fare una squadra che sia al di sopra di tutti i calciatori. Invece parliamo sempre di uno: se gioca o sta fuori, se è malato o arrabbiato. Questo discorso è stancante. Il problema è che io devo fare le scelte più giuste per vincere». «E mi piacerebbe vincere e giocare bene. Ma non mi bastano i tre punti. Io sto qui per costruire».

Ecco che chiarisce la squalifica di Osvaldo: «So bene che questa punizione penalizza la Roma a Firenze, ma si deve guardare a tutta la stagione e anche alla prossima e a quella dopo. La prima cosa per me è il rispetto: per tutti. Non solo per il compagno. Per ogni persona che lavora a Trigoria. La situazione riguarda il gruppo: posso sbagliare, ma è il mio pensiero. A breve termine per la squadra non è una buona scelta, ma lo è a medio e lungo termine. Era meglio averlo in campo. Era più facile multarlo, prendergli i soldi e dimenticare tutto. Osvaldo è la punta che ha giocato più minuti, ma voglio formare una vera squadra che soffre quando perde e si diverte quando vince. E soprattutto si rispetta sempre». Non scarica l’italoargentino: «Osvaldo è un bravo ragazzo, con un cuore grande, ma deve essere punito. Ci sono cose che non si possono fare. E il trattamento deve essere lo stesso per tutti, a prescindere se a sbagliare sia il migliore, il più bello o chi segna di più: se lo fa Barusso lo mettiamo su un albero e se lo fa Totti gli stendiamo un tappeto rosso? No, le regole valgono per tutti. Me compreso».

Una precisazione-contraddizione: «Certe cose devono sempre restare nello spogliatoio. Per me è così da quindici anni. Ma poi se escludi un calciatore devi spiegare perchè ai tifosi». Motiva subito la rinuncia a Borriello: «Non è convocato perchè si è allenato solo due giorni con la squadra. Per me è inddisponibile. Ma non ho alcun problema con lui: nè tattico, nè fisico e nemmeno tecnico». «Io mi sento un buon allenatore. Ho la fiducia della società e non mi pesa la responsabilità. Sono convinto del progetto, come lo ero nel mio primo giorno alla Roma. Forse ho solo qualche capello bianco in più», ammette. «Parlo con Baldini e con Sabatini, ci diciamo le cose in faccia. Nessun tifoso mi ha mai insultato per strada, anzi mi caricano quando mi incontrano».

Sulle 14 formazioni diverse in 14 gare è polemico: «Ma nessuno ricorda che otto-nove volte, per infortuni o cartellini, non potevo confermare quella precedente. Inutile, però, dirlo: se a Firenze vinco sono un genio, se perdo una merda. Io non voglio essere simpatico ma far bene il mio lavoro». Indica l’esempio da prendere. «Mi piace la Juve e non per come gioca e lo fa bene. Per l’intensità: in allenamento lì devono sudare tanto. In campo volano, noi no». Complimenti, dunque, all’ex preparatore giallorosso Bertelli. «Noi dobbiamo lavorare di più. Perché se non siamo al cento per cento, sarà difficile vincere».

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