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  • Romamania: l'ansia da Friedkin, le colpe di Monchi e l'alibi dello stadio, ma cosa c'entra Fonseca?

    Romamania: l'ansia da Friedkin, le colpe di Monchi e l'alibi dello stadio, ma cosa c'entra Fonseca?

    • Paolo Franci
    Sarebbe troppo facile prendersela con Fonseca. La tentazione, seguendo un classico schema italiota, ci sarebbe anche. Solo che poi ti volti indietro e guardi a tutti quegli allenatori che qui a Roma, prima o poi, si sono trovati nelle condizioni del portoghese. Non ho intenzione di scrivere un qualcosa a difesa di questo o quello perchè non me ne può fregare di meno di farlo. Avessi voluto difendere qualcuno a prescindere, avrei scelto la carriera di avvocato.

    Dico solo che, oggettivamente, non si può non tenere presente del contesto generale. La Roma sta passando di mano, da Pallotta a Friedkin ed è chiaro come chiunque abiti a Trigoria, dagli impiegati, ai dirigenti fino alla squadra e allo staff tecnico, non stia vivendo un momento di straordinaria stabilità. Anzi. Ognuno di loro, in questo preciso momento si starà chiedendo se farà parte della Roma che verrà e questo non è certo cemento per i mattoni. C'è poi da tenere presente l'effetto Monchi che si allungherà sui destini della società ancora per lungo tempo. Mi ricordava poco fa un collega, che ci sono giocatori in prestito, costosi, che rientreranno alla base senza avere uno straccio di mercato, come ad esempio Karsdorp. Una cosa che capiterà con altri - Pastore, ad esempio - nel prossimo futuro, aggravando la difficoltà di cedere anche a prezzo di realizzo giocatori che mai avrebbero dovuto vestire la maglia della Roma.

    Il terzo aspetto lo riconduco a ciò che mai è stato prioritario in questa gestione americana: costruire una squadra competitiva, sacrificando anche qualche pezzo come ha fatto ad esempio negli anni il Napoli, mantenendo, però e via via, qualcuno tra i giocatori migliori fino alla formazione di una squadra che fosse tale per militanza e identità. E invece niente. Il potente alibi utilizzato in questi anni, è stato quello dello stadio. E cioè è passato il messaggio che senza lo stadio fosse necessario spogliare ogni stagione l'albero dei frutti, vendendo i migliori senza mai costruire. Ovvio che lo stadio è importante, fondamentale per sviluppare il business, ma non al punto da assorbire l'incessante 'pulizia tecnica' della squadra, fino a creare un gruppo di giocatori, quest'ultimo, senza identità né leader riconosciuti - a parte rarissimi casi - né punti di riferimento riconoscibili. Infine, il progetto tecnico. Si punta sui giovani? Allora si insista anche a costo di qualche imbarcata. Si punta sui più esperti? Lo si faccia prendendo finalmente una via e percorrendola fino in fondo. Costi quel che costi, cercando di uscire da questa lenta, insopportabile agonia.

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