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  • Romamania: Mourinho e il calcio-graffiti, in finale con un mercato da 7 milioni. What else?

    Romamania: Mourinho e il calcio-graffiti, in finale con un mercato da 7 milioni. What else?

    • Paolo Franci
    Ha ragione Mou. Questi ragazzi sono meravigliosi. Perchè in queste condizioni, con gli infortuni a ripetizione e la malasorte che sembra volersi tatuare As Roma sul braccio, non era semplice arrivare fino a Budapest. Con la pressione (tremenda) dell'essere consapevoli che, o così o stagione pessima, da buttare. E invece “o così” è arrivato dopo una partita alla Mou, con il suo calcio un po' arcaico, certo non da scienziato delle diagonali e delle sovrapposizioni, ma tremendamente efficace. E questo conta. Ci si chiede come mai in Coppa sì e in campionato no. O, meglio, molto meno. Beh, Mou è ormai un artista del doppio confronto, lui punta anche solo a quel singolo gol che considera la puntura dello scorpione. Quel gol che ti fiacca, ti paralizza i nervi perché sembra facile da recuperare e invece l'ansia aumenta, il nervosismo anche, mentre la partita sfugge via come sabbia tra le dita.

    L'abbiamo visto con i tedeschi no? Poi, segnato quel gol – ovvio che ne vorrebbe segnare cinque, ma il suo calcio è spesso minimalista – si protegge con cinque difensori in linea e bassi, la diga di centrocampo e i due attaccanti che fanno i mediani. E l'obiettivo, crudo, brutale, ruvido è non prendere gol. Il resto non conta. E' il pragmatismo elevato a forma d'arte. Mou non è il Van Gogh che assume le sembianze di Pep Guardiola, semmai è un Jean-Michel Basquiat, un Keith Haring, un artista metropolitano, un eroe del crudo ed essenziale calcio-graffitismo impresso sui muri della città. Un writer del pallone che entra nelle case e nelle vene dei tifosi, scorrendo veloce come mai successo prima. Mou che arringa le folle, che punge, che ti dice che è in finale con un mercato da 7 milioni. Mou che in campionato fa cilecca perchè lì il graffitismo non funziona come accade sulle due partite secche. Alla lunga si perdono punti, se non si crea il giusto. Però se hai messo in tasca 30 finali e tutte quelle che hai giocato in Europa le hai vinte – fate i debiti, dovuti gesti apotropaici – ci sarà pure un motivo. Un motivo speciale.

    Il fatto è che dal punto estetico, dello spettacolo, delle occasioni, il calcio di Mou è discutibile assai. Però poi arriva in una piazza dove non s'è vinto neanche un set di pentole al supermercato e questo uomo speciale centra due finali europee in due stagioni, salendo di livello. Io so bene cosa significhi farlo a Roma, dove due vittorie bastano per tirare fuori tabelle scudetto, dove ci si accontenta di avere un paio di giocatori 'romani e romanisti', dove non si vince ma ci si atteggia come se accadesse, perchè, come diceva Dino Viola, 'Chi tifa Roma non perde mai'. Dove, infine, si bollano giocatori che 'non sono da Roma' come se la Roma fosse il Manchester City o il Real Madrid. Qui siamo i migliori al mondo a non vincere con l'orgoglio, la passione, la dignità di chi ha già vinto indossando quei colori. Poi, un giorno, arriva un signore un po' imbolsito e carico di gloria, un signore che sa trasformare i limiti in carica esplosiva. E fa quello che ha fatto, trasformando un pugno di ragazzi in gran parte perdenti di successo, in un branco di velociraptor da coppa. Com'è che dice l'amico George? Ah, sì: what else?

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