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  • Sabatini a CM: 'Mourinho, dietro le proteste c'è un piano preciso? Serra, non sei mica al bar'

    Sabatini a CM: 'Mourinho, dietro le proteste c'è un piano preciso? Serra, non sei mica al bar'

    • Sandro Sabatini
      Sandro Sabatini
    Il politicamente corretto offre la formula più pacifica del mondo: hanno tutti un po’ ragione. Ma non è questo il caso. Non è il caso di Mourinho e dell’arbitro (quarto uomo, nell’occasione) Serra. Qui hanno torto tutti. Non solo entrambi i protagonisti, ovvero l’allenatore della Roma ed il fischietto affiliato alla sezione di Torino.

    Ha torto Mourinho, non solo per la ripetitiva (e ormai banale) critica nazionalpopolare: quando perde, cambia discorso. Una volta è colpa del campo, un’altra volta dei raccattapalle o del pubblico, due o tre volte colpa dei giocatori e comunque sempre dell’arbitro. Tra l’altro, come fosse un pezzo da collezione delle scuse, stavolta è stato incolpato il quarto uomo. Ha torto Mourinho: sia nella sostanza dei commenti post partita, sia nella forma. Cioè nel comportamento della squadra in campo e dell'allenatore fuori campo. Ogni volta la Roma, anzi la panchina giallorossa o per la precisione lo staff tecnico della panchina romanista, ingaggia una sfida personale con arbitri, assistenti e quarto uomo. Possibilmente urlando e sbraitando forte contro la microfonata “quaterna arbitrale” per far arrivare i messaggi anche alla sala Var, dove possibilmente si ascolta tutto del campo e del bordocampo.

    Si fatica a non immaginare qualcosa di studiato, organizzato tatticamente: sembra che Mourinho prepari le partite assegnando dei compiti anche ai suoi uomini in panchina. Tu protesti con il guardalinee, tu metti pressione all’arbitro, tu urli contro l’altro guardalinee. E al quarto uomo ci penso io. Fateci caso, ma le espulsioni della panchina giallorossa non riguardano solo il furbo Josè. Una volta tocca al vice Foti, un’altra al massaggiatore, una al preparatore dei portieri, eccetera eccetera. Mourinho fa il domatore, quelli dello staff diventano belve. Lui dirige l’orchestra delle proteste, loro eseguono.

    Anche i compiti sembrano precisi. C’è uno studio. Un archivio ampio e documentato. Si spazia da “tu sei di Torino e domenica c’è la Juve” fino a “questo fallo alla giornata X non lo avevi fischiato”. La protesta diventa maliziosa con “l’altra volta avevi dato rosso” e raffinata con “non far finta di non sentire”. Sembra. Meglio ribadire: “sembra”, perché non c’è certezza, che Mourinho assegni ai componenti del proprio staff dei compiti ben precisi da eseguire, come - per esempio - gli avversari da marcare nei calci piazzati.



    Questo non va bene. Non c’è fair play. Non è sport.

    Ma ha torto anche Serra. Marco Serra, quarant’anni. Bravo arbitro che ha già vissuto la sofferenza degli errori e ne porta addosso le cicatrici. Oggi, questione generazionale, forse si portano i tatuaggi delle varie esperienze. Comunque, Serra è uno che sa, l’ha imparato sulla propria pelle, che un arbitro deve prendere - in un attimo - microdecisioni su questioni che potenzialmente diventano “macro”, ovvero determinanti e decisive per la storia di una singola partita o di un intero campionato. Non è stato questo il caso dell’altra sera, malgrado la vittoria della Cremonese possa trasferirsi nella storia, restando esemplare unico. Ma il caso è diverso. E anche per Serra, come per Mourinho, coinvolge la forma e la sostanza. Un arbitro, che sia in campo o quarto uomo, non può rivolgersi a nessuno usando espressioni tipo “stanno tutti ridendo di te, vai a casa”. Con quel “vai a casa” - il labiale televisivo è chiaro - ripetuto addirittura almeno due volte.

    Il campo non è un bar, come si diceva una volta. E nemmeno un social, come sembra oggi. “Vai a casa” lo dici a tua sorella! Ops… Scusate. L’ho scritto per scherzo. Ma ho reso l’idea delle espressioni che un allenatore, un arbitro o un giornalista possono usare. O non possono. Nemmeno per scherzo.

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