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  • Sabatini: nel giorno di Valentino, l'Inter va fortino e Donadoni insegna a Pirlo

    Sabatini: nel giorno di Valentino, l'Inter va fortino e Donadoni insegna a Pirlo

    Dedicato agli interisti che negli ultimi venti minuti hanno cambiato canale. Non serve un riassunto speciale per l'ultimo spicchio di partita a Torino: è andato tutto come previsto. E come per il resto del campionato, finora: spettacolo minimo, resa massima.

    Nel calcio non esiste un vincitore morale, tipo Valentino al Mondiale di MotoGP. Esiste il vincitore e basta. E nemmeno, per fortuna, almeno ad alto livello, circolano tipi come Marquez, palesi guardiani di accordi tanto evidenti da risultare disgustanti.

    Detto con stizza, ma pure con estrema semplicità: meglio il calcio delle moto. Almeno stavolta, si può scrivere e sottoscrivere, senza paura di venir criticati. Anche perchè il calcio racconta grandi storie che meritano di essere schiaffate in faccia a piccoli Marquez, furbetti dell'anti fair-play.

    Per esempio la storia del Bologna che era partito ultimo. Due curve infilate bene, due vittorie, e Roberto Donadoni l’ha già riportato avanti. Per le statistiche: cinque gol segnati e zero subiti. Per le sensazioni: ha raccolto “anche” il lavoro di chi l’ha preceduto, se non altro come credito di fortuna.

    Donadoni è uno che merita. Anche un po’ di fortuna. Ma meriterebbe soprattutto di essere riconosciuto per quel che è: allenatore bravissimo, che si vende malissimo. Lo ricordo in nazionale, dov’era arrivato sicuramente troppo presto. Però la sua unica colpa era aver risposto “sì” alla chiamata della Federcalcio. Senza “se” e senza “ma”, senza sponsor e senza clausole. La critica gli riservò due anni d’inferno. Se la nazionale vinceva, era tutto normale: in fondo eravamo i Campioni del Mondo in carica. Se invece l’Italia perdeva (peraltro molto raramente), la colpa era del ct, descritto come inesperto e perfino inadeguato e addirittura inetto per il soglio azzurro lasciato da Marcello I. Per la cronaca, e per la storia, quella nazionale venne eliminata solo dalla Spagna, soltanto ai rigori e unicamente perché dagli undici metri sbagliò Totò Di Natale (in carriera 80% di realizzazioni dal dischetto…). Per anni, mentre gli spagnoli vincevano due Europei e un Mondiale, l’Italia di Donadoni rimase l’unica squadra ad aver lottato con Los Campeones.

    Eppure tornò ct Lippi, il Marcello II azzurro. E per prima cosa disse che in nazionale era tutto da ricostruire. Donadoni nel frattempo al Napoli venne chiamato e poi esonerato. Arrivò Mazzarri e disse che pure lì era tutto da rifare. Lui, invece, per rifare il Bologna è innanzitutto andato a cena con Delio Rossi. Pochissimi lo fanno, pochi l’hanno notato. E se anche fosse stato solo un gesto di cortesia formale, complimenti a Donadoni.

    Come Rossi (Vale) in avvio ha cercato le scie giuste per risalire sulla pista di Valencia, così Rossi (Delio) ha lasciato una scia di buon lavoro al campionato del Bologna. Alla fine si assisterà al solito balletto di convenienza e coerenza. Quello che vale (con la minuscola) per alcuni ma non per tutti. Tipo: Allegri vince perché sfrutta il lavoro di Conte, ma Paulo Sousa non quello di Montella o altri casi simili. E allora: d’accordo Regioni e Province, ma viva il governo che abolirà i luoghi comuni (ancora con la minuscola).

    Un luogo comunissimo è che l’Inter giochi malissimo. In parte è vero. Ma è costruita per giocare così. E infatti vuole Pirlo, per migliorare la manovra. Poi qualcuno dirà a Pirlo che non si cambiano squadra e bandiera così, con appena una vacanza a New York nel mezzo. E forse proprio Donadoni, che tornò dagli Stati Uniti ancora al Milan, potrebbe anche qui insegnare qualcosa. Ma, almeno oggi, il calcio non ha nulla da farsi insegnare. Almeno, non dalla MotoGp.

     
    Sandro Sabatini (giornalista Mediaset Premium)

    Twitter: @Sabatini  -  Facebook: SandroSabatiniOfficial 

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