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  • Roma, Sabatini è l'unico che ci mette la faccia

    Roma, Sabatini è l'unico che ci mette la faccia

    • Fernando Pernambuco

    Forse che sì, forse che no. Ma più sì. Sembra che il valzer degli addii di Walter (Sabatini) sia giunto al suo ultimo giro. La musica è finita, gli amici se ne vanno… che inutile serata. Non esageriamo. La musica continua, gli amici restano - magari con la casacca diversa - e la serata (il campionato) non finisce. Però un po’ di amaro in bocca  resta. Non solo perché in quella specie di Circo Barnum che è stata la Roma da Di Benedetto in poi ( siamo nel 2011) Sabatini ci è sempre sembrato quello più equilibrato e competente. Non solo perché ha fatto ottenere alla società giallorossa un surplus di 200 milioni di euro negli ultimi 4 anni. Non solo perché ha scoperto numerosi talenti, da Marquinhos a Lamela. Ma perché ci ha messo la faccia. D’accordo, è probabile che chiuderà senza trofei. Forse certe arringhe di maniera ai tifosi “W la Roma! La Roma siete voi!” sul suo profilo Facebook stanno tra il troppo furbo e il troppo ingenuo, ma - lo ripetiamo – ci ha messo la faccia.


    Per qualche strano motivo dopo le gradassate di Garcia a bordo campo e qualche sonora sconfitta sempre sul campo, in televisione ci andava lui. Con quella faccia un po’ così, malinconica e appassita, senza accampare scuse, senza  parlare dell’ arbitro o della “gggeopolitiga…”. Nell’assedio dell’assenza presidenziale americana, il punto di riferimento nel fortino era lui, costretto spesso a non fare il suo lavoro, a tappare i buchi, a prendersi il peso delle responsabilità.

    A Roma basta poco: una sconfitta e sei nella polvere, una vittoria e finisci, manzonianamente, sull’altar. Su questo ottovolante, Sabatini teneva la barra che oscillava nel mare burrascoso delle incertezze societarie e ambientali capitoline. Sì, con quella faccia un po’ così, gli occhi come fessure, la zazzera (allora) fluente, le mascelle marcate, la bocca da nazareno, fin da quando esordì in serie B, nel 1972, col Perugia. In ballottaggio fra la Roma e la Juve, approda al lido giallorosso, ma nel suo ruolo, ala destra, gioca un certo Bruno Conti. In seguito è di nuovo Perugia (vedrà morire in campo Renato Curi).

    Si dedica al calcio giovanile prima a Perugia, poi a Roma e dimostra subito di essere un talent scout di razza. Nella Lazio con lui emergono Nesta e Di Vaio. Nel 2000 Sabatini viene squalificato per 5 anni, rischiando la radiazione per una vicenda legata a giovani calciatori. Ma l’allora Presidente della FIGC Carraro aspetta ben 3 anni per rendere effettiva la  stessa radiazione. Sabatini ha, quindi, buon gioco ad appellarsi contro il provvedimento, adducendo il fatto che non potevano passare più di 3 anni tra la squalifica e la successiva radiazione.

    Nel 2004 va alla Lazio e ingaggia giocatori del calibro di Kolarov, Bherami, Lichtsteiner. In seguito, con Zamparini, è protagonista della primavera palermitana. Poi la Roma e la miscela di euforia, slancio, e…secondi posti. I 200 milioni di surplus, l’arrivo di grandi giocatori, ma un ruolo, presidente ombra, che non è il suo. Dapprima amato, poi irriso. Qualcuno gli imputa di essere come Moggi, cioè “la piovra del calcio italiano”. Sicuramente Sabatini condivide con Moggi competenze tecniche elevatissime che gli fanno capire come pochi le qualità di un giocatore. Non sappiamo se è o è stato “lo stalliere del re, quello che deve conoscere tutti il ladri di cavalli” come l’Avvocato definì il dg. della Juventus. Sappiamo, però, che alla Roma un re non c’è mai stato e di questo Sabatini non può avere colpa.


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