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  • Samp, appello al calcio per Amatrice

    Samp, appello al calcio per Amatrice

    • Marco Bernardini
    Siamo andati a letto, ieri sera, con nelle orecchie il suono dei lamenti che arrivavano dallo stadio Olimpico di Roma dove, essendo la squadra di Spalletti stata spazzata via dal giro miliardario della Champions, i commenti desolati di  addetti ai lavori e comuni tifosi erano perlopiù improntati da un lessico che prevedeva termini importanti come dramma o tragedia. Una pessima abitudine quella dell’uso di parole molto pesanti per giudicare eventi tutto sommato “leggeri” che purtroppo non è facile sradicare.

    Ci siamo svegliati, questa mattina, con le voci dei cronisti di notiziari radio-televisivi che annunciavano una nuova e grande tragedia per il nostro Paese. Dalle ore tre e trentasei minuti del mattino un intero piccolo paese del centro Italia non esisteva più. Si era accartocciato su se stesso per le violente scosse di un terremoto di magnitudo 6,0. La medesima violenza che, in passato, aveva ferito a morte il Friuli, l’Irpinia e infine l’Aquila. Si chiama, anzi si chiamava, Amatrice (foto Twitter Vigili del Fuoco).

    Meno di tremila abitanti la cui maggioranza, mentre scriviamo, si trova ancora sotto le macerie delle case e dei campanili delle chiese che sono crollati mentre la gente dormiva. Atri paesi, intorno, sono nella medesima conduzione. Gli uomini della Protezione Civile sono al lavoro, sia ad Amatrice e sia nei borghi attigui dove il sisma ha picchiato fortissimo ad appena quattro chilometri sottoterra dalla superficie, ed è iniziato il triste e amaro rito della conta dei morti il cui numero potrebbe portare a parlare di carneficina vista l’ora del disastro e l’intensità epocale del terremoto.

    Intanto, verso tutti gli ospedali e i centri della Croce Rossa Italiana sono giunti gi appelli lanciati dall’Unità di Crisi per la raccolta di sangue che manca e per invito ai volontari di mettersi in viaggio verso questo pezzo di terra nostra sospesa nel centro tra Marche, Abruzzo e Lazio per arrivare in tempo a dare una mano nel lavoro dei soccorsi.

    Un’altra tragedia, questa volta tremendamente vera, che paradossalmente ci permette di scoprire un paese della cui esistenza pochi erano a conoscenza se non gli amanti della buona cucina e soprattutto di quella pasta cucinata all’amatriciana da sempre vanto per la gente del luogo che, però, era stata ingiustamente “rapinata” da Roma che amava spacciarsi come padrona della ricetta conosciuta in tutto il mondo. L’ultima settimana di agosto, come tutti gli anni da tempo immemorabile, ad Amatrice si sarebbe dovuta svolgere la Sagra del piatto principe locale. Una festa alla quale non mancava mai Ugo Tognazzi e la sua famiglia. Un telo nero e pietoso coprirà invece il paese scomparso da questa Terra.

    L’ultima settimana di agosto si chiuderà anche il calciomercato. Uno fra i più smodatamente e talvolta vergognosamente milionari di tutti i tempi. Le società di calcio, se ben rammentiamo, sono state fondate e sono regolate da statuti che prevedono non soltanto l’impegno sportivo, quindi agonistico, ma anche un certo comportamento etico e sociale. Purtroppo di questo angolo minimalista ci si dimentica troppo spesso. 

    Ebbene, tragedie come quella in corso in una pessima giornata di mezza estate dovrebbero spingerci tutti a meditare e a riflettere sulla necessità di dare in giusto senso e il corretto valore ad ogni cosa. Agire, anzichè limitarsi a parlare e a distribuire retorico cordoglio. Di mattina presto, su Twitter, il calcio è sceso in campo a chiedere di fare qualche cosa di concreto per Amatrice con due avamposti. Il calciatore Bertolacci, del Milan, il quale essendo laziale di nascita consce molto bene le zone del disastro. Il presidente Ferrero della Sampdoria per il quale i perbenisti e i puristi non perdono mai occasione di spendere giudizi assai poco eleganti. Ebbene, il cuore e la buona volontà civile di Ferrero e della società doriana, sempre in prima linea quando si tratta di vincere soprattutto fuori dal campo, si sono già mossi. Aspettiamo che seguano gli altri. Tutti. E non basterà la fascia del lutto al braccio.
     

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