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  • Sampmania: avete presente l’Inferno?

    Sampmania: avete presente l’Inferno?

    • Lorenzo Montaldo
    Avete presente l’Inferno? Secondo Dante ha la forma di un imbuto, che poi casualmente è anche la conformazione dell’uscita di Genova Est, dove si trova lo stadio Ferraris. Ecco, io l’Inferno a imbuto me lo immagino proprio così, come un angosciante guazzabuglio di automobili, cemento e caselli. Un incubo capace di far rizzare i capelli sulla testa ai più prodi e coraggiosi. La partita alle 18.30 di un giorno feriale, in una delle zone più densamente popolate del capoluogo ligure, nell’orario di punta e lungo un tratto autostradale trafficatissimo già di suo, è un crimine contro l’umanità bello e buono.

    Uscire dal girone degli automobilisti per arrivare allo stadio è più complicato che scendere lungo il corpo peloso di Lucifero per approdare al Purgatorio. La cosa peggiore, però, è che arrivato al Ferraris l’Inferno si è riproposto, sotto forma di loop della dannazione. Protagonisti dell’incubo la Sampdoria, il Napoli, e una giornata dannatamente storta. Non parlo di Inferno per il risultato della partita, sia chiaro. Perdere con la squadra di Spalletti ci sta, perdere in questo modo anche, persino prendere 4 gol è lecito. Parlo di Inferno perché la punizione blucerchiata, in questo caso, è stata di gran lunga superiore alla colpa. Lo 0-4 racconta un altro match, vissuto in realtà di due spaccati: un primo tempo giocato anche piuttosto bene, e chiuso sotto di due gol, e una ripresa iniziata come peggio non si poteva. Da lì in poi, l’analisi della gara perde di validità. Già perché la Samp, per quaranta minuti, aveva anche giocato in maniera discreta. La reazione al vantaggio ospite era stata buona e convincente. La conclusione dal limite di Silva e la zuccata di Yoshida, per dire, su cento tentativi entrano ottanta volte. Il Doria non si era disunito, aveva organizzato una buona reazione, affidandosi principalmente ad alcuni dialoghi nello stretto tra Candreva, Quagliarella e Caputo, e alle estemporanee invenzioni dei cinque minuti di vero pallone recitati da Damsgaard nell’arco dei novanta disponibili. Lo 0-2 ha gelato i blucerchiati, lo 0-3 invece li ha letteralmente spazzati via dal campo. Il secondo tempo, di fatto non c’è stato. Peccato, perché nella prima parte l’incontro era stato estremamente godibile e divertente.

    D’Aversa ha impostato Samp-Napoli in maniera piuttosto aperta. Non ha stravolto il segnale dato sin dal ritiro, ossia ‘andiamo a giocarcela con chiunque’, e ha dato seguito alle dichiarazioni fatte in conferenza stampa. “Serve l’ambizione i puntare al risultato pieno” aveva detto presentando la gara. “Bisogna semmai scegliere la strada, se stare lì ad aspettare lo schiaffo o provare a creargli problemi”. Mi pare evidente abbia optato per la seconda. Possiamo fargliene una colpa? A mio modo di vedere, no. Anche difendendosi con catenaccio e ripartenze, contro il Napoli, questo Napoli, avresti perso. Magari sarebbe finita 0-2, magari i voti non sarebbero stati tra il 4,5 e il 5 ma tra il 5 e il 5,5, ma alla fine poco sarebbe cambiato. Anzi, sarebbe filtrato un messaggio sbagliato: ci snaturiamo, non crediamo nel tipo di lavoro fatto per tre mesi, perdiamo certezze e convinzioni proprio adesso che stiamo iniziando a radicarle. Forse avresti preso due gol di meno, sì, ma avresti comunque portato a casa zero punti, senza assistere ad un primo tempo che, tutto sommato, ci aveva lasciato abbastanza soddisfatti a livello di contenuti e idee.

    Ovviamente, non sono solo rose e fiori. I gol originano quasi per intero da grossi errori tecnici individuali. Prendiamo il primo. I riflettori della critica sono accesi su Audero. Il numero uno blucerchiato sbaglia, sì, è evidente. Prima di lui, però, sbaglia Augello, appoggiando un pallone complesso per lettura a Silva, sbaglia Silva non riuscendo a controllare sull’attacco di Osimhen, sbaglia clamorosamente il posizionamento Colley e per concludere sbaglia nuovamente Augello abboccando alla finta della punta. Avete notato quante volte ho ripetuto il verbo ‘sbagliare’, in questa frase? La rete del vantaggio nasce da una catena di sviste, individuali e corali, accentuata dalla bravura dei due giocatori avversari nel dialogare per mandare in porta il numero 9 nigeriano. Lo scenario si ripete su tutte le marcature ospiti. Lozano mette per tre volte lo stesso tipo di assist ai compagni, senza mai essere letto dalla retroguardia, e sullo 0-3 la difesa della Samp abbocca nuovamente ad una finta di Osimhen, rapido e furbo a buttarsi nel cuore del fortino, attaccando in profondità dopo lo scarico fuori dall’area, senza essere contrastato da nessuno. C’è la componente di qualità degli avversari, è evidente, altrimenti il pallone a fil di palo come Ruiz non lo metti, e la sassata di Zielinski finisce nel Bisagno, ma ci sono pure tante imperfezioni e svarioni grossolani da correggere e ritoccare.

    A mio modo di vedere, in questo tipo di partite servirebbe anche una nuova soluzione offensiva. Quagliarella e Caputo, quando si trovano a fronteggiare difensori fisici e ruvidi come Koulibaly e Rrahamani/Manolas, vanno in difficoltà. Era già capitato contro l’Inter. Al 10 e al 27 mancano le caratteristiche per sfidare i centrali sul loro terreno, ossia il piano fisico, ma pure quelle diametralmente opposte, come la rapidità e la capacità di sgusciare via a due marcantoni di 190 cm. Intendiamoci, Koulibaly è stato letteralmente gigantesco, ogni volta che lo vedo dal vivo rimango impressionato da questo difensore, di sicuro uno dei migliori ammirati dal vivo negli ultimi anni, ma le specifiche di Quagliarella e Caputo in sfide del genere danno l’idea di essere troppo coincidenti.

    In effetti, dopo l’Inferno di Genova Est, prendi con più filosofia pure un 4-0 in casa. Soprattutto perché lo fai con 5 punti già in cascina, giusto per dare un’idea di quanto sia stato fondamentale il successo di Empoli. Alla fine, comunque, il paragone con l’Inferno si è rivelato pure azzeccato. Abbiamo superato il Cocito, e il viaggio può esserci servito per espiare, comprendere le nostre colpe (in questo caso, errori) in modo tale da avere una seconda possibilità per non rischiare di commetterle di nuovo. Se poi dovessimo riuscire a rivedere le stelle, potrebbe rivelarsi persino un viaggio educativo. Educativo per tutti, tranne che per i due bambini nella macchina di fianco alla mia al casello. Per loro, forse, lo è stato un po’ meno.

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