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  • Sarri peggio di Tavecchio. È vulnerabile, ingigantisce colpe e responsabilità

    Sarri peggio di Tavecchio. È vulnerabile, ingigantisce colpe e responsabilità

    • Fernando Pernambuco
    Non sarà il Presidente del Macho Football Club. Quel ruolo spetta di diritto a Ivan Savvidis, patron del PAOK Salonicco, che all’ottantanovesimo minuto è entrato in campo con la pistola, durante la partita della sua squadra contro l’AEK di Atene. Ma ora, con Tavecchio nell’ombra, il posto nella sezione italiana di tale prestigioso Club spetta a lui: Maurizio Sarri.
     
    Dato a Cesare quel che è di Cesare (o meglio a Maurizio) non vogliamo tornare sull’ennesimo fatto, la risposta volgare a una giornalista, di cui è stato protagonista l’allenatore dei partenopei. Ci chiediamo, però, perché Sarri si arrabbi così frequentemente e quasi sempre fuori luogo. Perché, come si dice in gergo, “sbrocchi” facilmente e si dimostri, insomma, tanto vulnerabile.
     
    La giornalista Improta (che per altro ha accettato le immediate e opportune scuse) non aveva certo formulato una domanda aggressiva o provocatoria. Aveva, semplicemente, chiesto se la battuta d’arresto del Napoli contro l’Inter avrebbe potuto compromettere la vittoria dello scudetto. Domanda lapalissiana, tant’è che il giorno dopo, televisioni, siti, giornali hanno posto lo stesso dubbio di fronte al sorpasso juventino. Ma quella domanda elementare, ha mandato su tutte le furie il tecnico, che forse non si è ancora abituato all’endemica pressione (psichica e sociale) cui è sottoposto un allenatore di serie A. Tempo fa fu vittima d’un suo rabbioso e sprezzante apprezzamento Mancini. Reo d’aver pareggiato, con l’Inter al San Paolo, si prese del “profumato e finocchio”. Questione di stile, si disse allora. Non solo, diciamo oggi. Questione d’equilibrio.
     
    Non vogliamo parlare di politically correct, sessimo e volgarità, quanto della fragilità che pervade Sarri. Sempre pronto alle scuse più strampalate (“e’ meglio giocare prima e noi giochiamo dopo…E’ meglio giocare dopo e noi giochiamo prima. La Juve gioca prima, quindi è avvantaggiata…La Juve gioca dopo, così è avvantaggiata. Noi non siamo fatti per vincere, non siamo ricchi…L’erba del campo era tagliata male e ci ha danneggiato…”) non ce la fa ad interloquire non tanto col mondo, ma nemmeno con gli addetti ai lavori. Perciò gli avevamo dato il consiglio (retorico) di non presentarsi in conferenza stampa, di accettare interviste col doppio filtro, di mandare al posto suo un dirigente del Napoli, per far sì che le occasioni d’incontro non si trasformassero troppo spesso in occasioni di scontro: gratuito.
     
    Il risentimento sarriano, spesso immotivato, pressoché perenne, sfocia in rabbia appena le cose non si mettono benissimo. Certo “il momento non è facile”. Ma chi non attraversa momenti difficili? Di chi è stata la strategia rinunciataria che ha fatto fare una pessima figura internazionale al Napoli e che ha determinato l’abbandono alla Coppa Italia?

    Non si parla delle scuse di prammatica che quasi tutti gli allenatori balbettano dopo una sconfitta con un goal di scarto (ce ne vogliono almeno tre per vedere un barlume d’autocritica) quanto dell’attitudine ad andarsela a cercare. Sembra che Sarri ce l’abbia col mondo, che debba sempre vincere e che se non succede, la colpa sia sempre degli altri o di qualcos’altro, dall’erba al calendario.
     
    Ecco, forse ingigantisce colpe e responsabilità, come se alla prima difficoltà si sentisse accerchiato: un “generale” Custer, da solo con un manipolo di eroi, contro migliaia di pellerossa (giornalisti, avversari, Federazione, giardinieri…) che vogliono il suo scalpo.
     

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