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  • Schwazer e Vardy, diavoli in paradiso

    Schwazer e Vardy, diavoli in paradiso

    • Marco Bernardini
    Spesso alle spalle di uomini fatti Santi c’è un trascorso di grandi peccatori. Dal nobile e godereccio Paolo al giovane e sfrontato Francesco, passando per l’avventuriero e miscredente Agostino è possibile trovare un discreto numero di personaggi condotti dalle loro bravate sino davanti alle porte dell’Inferno e poi, dopo radicale auto trasformazione, finiti nei posti più alti del Paradiso. Oggi questo genere di operazione viene definita “outing”. Preferisco il vecchio e comprensibile termine di “pentimento”. Quando è sincero e non strumentale, come accade nelle pieghe di realtà camorriste e mafiose, deve essere celebrato al pari di un miracolo.

    “Penso che in Italia io sia uno dei pochi ad aver pubblicamente chiesto scusa. Ora cerco di ripartire”. Sono state queste le parole pronunciate da quello che, tre anni e nove mesi fa, era un biondino con la faccia “antipatica” da primo della classe finito sulle prime pagine dei giornali grazie all’oro conquistato nella competizione più lunga e difficile di tutti i Giochi. Era lui, Alex Schwazer, il contemporaneo successore del maratoneta crotonese Milone. Da Londra la sua immagine fece il giro del mondo. Da solo, ma anche in compagnia della sua fidanzata, la regina del ghiaccio. Una coppia molto glamour e invidiata. Dopo pochi mesi, nuovamente in copertina. A gambe all’aria, però. Baro, disonesto e dopato. Sepolto da un mare di fango.

    Purtroppo era vero. Alex Schwazer, la “gazzella” delle Olimpiadi, si era strafatto di Epo. Nessuno lo aveva obbligato. Se l’era cercata da solo obbedendo a una fraudolenta voce da dentro che gli suggeriva di “aiutarsi” per poter sbaragliare il gruppo in quella marcia londinese, specialmente i russi. Come Icaro, il ragazzino svalvolato da un eccesso di vanità, aveva presunto di volare fino al sole. La caduta fu tremenda. Le note della marcia trionfale vennero coperte dal suono potente e prepotente della banda dei moralisti che, sempre un poco invidiosi, non fanno mainsconti: “Finto e fasullo, ben gli sta. Di lui non vogliamo sentire più parlare”. Pietà l’è morta.

    Tre anni e nove mesi dopo, scontata la squalifica, Alex è di nuovo tra noi. Un altro Alex, naturalmente. Biondo è rimasto, ma ora è stempiato. Il viaggio all’inferno lo ha segnato in viso cancellando ogni indizio da primo della classe e mettendo in evidenza uno stato interiore pervaso da sentimenti contrastanti come fierezza, malinconia e rabbia. Poche parole, ma ricche di dignità. Sono i fatti a dire, per lui, della battaglia vinta. La sfida della marcia lunga cinquanta chilometri, tra le rovine della Roma antica, la quale è servita a dimostrare che il pentimento lo ha rivoltato come un guanto, ripulito alla perfezione e restituito come nuovo alla causa dello sport italiano, il quale può tornare a contare sulle sue gambe agili e su quei suoi piedi che sfiorano l’asfalto per mettere in riga il plotone olimpionico in Brasile e per vincere una medaglia questa volta autentica. Tacciano, dunque, moralisti e farisei. Alex Schwazer ha pagato per intero il conto. Ora ha il diritto di tornare a incassare. E noi con lui che dovremmo andare fieri per un ragazzo che ce l’ha fatta, dopo la caduta.

    Del resto non è il  primo e non sarà neppure l’ultimo della serie all’inferno e ritorno. Anche lo sport è ricco di pagine che narrano di redenzioni. Quella di Paolo Rossi, cacciato in seguito alle note sentenze (alcune discutibili) per il calcio-scommesse, eppoi eroe di Spagna. L’uomo del giorno, dopo Claudio Ranieri: il bomber Jamie Vardy del Leicester condannato, qualche anno fa, per reati vari tra i quali rissa e costretto ad andare in giro con un braccialetto elettronico al polso. E ancora Troy Deeney, l’attaccante al quale il presidente Pozzo ha fatto indossare la maglia del Watford dopo che aveva appena dismesso la divisa da galeotto. L’ex difensore dell’Arsenal, Tony Adams, era un alcolista. Oggi è allenatore  di buon livello. Così come allena il tedesco Christoph Daum dopo aver domato la bestia della cocaina. Lo “stupratore” redento Kobe Bryant, campione Nba con i Lakers e due volte campione olimpico. George Foreman, riemerso dall’abisso del crack e dell’alcol, che dopo la conversione trova il coraggio di tornare sul ring  e d riprendersi il titolo a quarantasei anni. Per chiudere con Ivan Basso. Ammise il peccato doping,. Scontò la pena. Tornò per vincere, nel 2010, il Giro d’Italia. Oggi ciascuno di loro potrebbe di andare in giro per le scuole a raccontare, ne panni di buon maestro in che modo si può tornareì dall’inferno. Buon paradiso a tutti.

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