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  • Sconcerti: 'Il Milan sarebbe una buona squadra, ma vuole giocare come le altre che sono più forti'

    Sconcerti: 'Il Milan sarebbe una buona squadra, ma vuole giocare come le altre che sono più forti'

    Ci sono due campionati. Uno è quello delle prime cinque, molto bello e un po’ monotono. Il secondo è quello del Milan. Siamo indietro sul piano della tattica.

    Negli altri campionati si va a soggetto, in Inghilterra pochi cercano di imitare Guardiola, ognuno cerca la propria via correndo. In Spagna si affidano al singolo. Vi siete mai chiesti perché all’estero sono sempre più veloci di noi? La risposta è semplice: perché i giocatori devono coprire meno spazio dei nostri, quindi fanno metà della fatica. Nessuno ha compiti doppi, difensivi e offensivi. Così, quando tocca a loro, possono scattare. Suso è un esempio limite. Fa solo l’attaccante pur essendo in un ruolo estremamente complesso.


    In Italia non si cerca un’idea di gioco, quella è già data dalla maggioranza. Nessuno si scosta dall’idea prevalente. Questa prevede di tenere il pallone, per ottenerlo bisogna giocare in modo orizzontale fino alla trequarti degli altri. Ma il problema non è l’idea, qualunque idea è giusta nel calcio. Baggio, Totti, Del Piero erano idee solitarie, inventavano. Se un’idea porta allo schema di un gol non è replicabile, non è uno schema, è un colpo di fantasia. Quello che cerchiamo di non avere è esattamente questo, la fantasia. È trasgressiva.

    Quando nacque il catenaccio, non nacque dalle grandi squadre, nacque dalle piccole. Era socialismo vero, ridistribuzione della ricchezza tecnica. Non ho la forza del mio avversario quindi mi ingegno a contenerlo. Non era una soluzione universale, era però un’idea diversa di gioco. Fu Helenio Herrera a portare ai massimi livelli la soluzione mettendo l’Europa in scacco. Nessuno giocava così tranne noi. L’unicità. Questa è la verità del calcio. Se non l’unicità, almeno la diversità.

    Oggi giochiamo tutti allo stesso modo, dal Chievo al Bologna, dal Genoa alla Roma. Ma se tutti giocano con lo stesso modello vincerà sempre il più forte, la differenza non verrà dall’applicazione, ma dalla qualità dei giocatori. È quello che sta accadendo oggi. Noi diciamo che una squadra gioca bene quando riesce a imitare il gioco di una grande squadra. Dieci passaggi di fila a centrocampo. Poi interviene Icardi, intervengono Dzeko, Immobile, Mertens, Higuain. È questa uniformità, questa autentica presa in giro di una tattica bella solo perché comune che invalida i risultati. Perché lo schema, il pressing, il possesso palla, non superano la qualità.

    E se tutti giochiamo allo stesso modo, vinceranno sempre i migliori. In 54 partite giocate dalle prime 5, ci sono stati solo 4 pareggi, nessuno ha saputo andare oltre un limite naturale. In Italia abbiamo perso il nostro calcolo della diversità. Il Milan sabato è stato bravo per un’ora ma è stato battuto da un giocatore. E allora? Non valeva la pena cercare qualcosa di proprio, meglio, di improprio?

    Il Napoli lo fa con i suoi triangoli, che a ben vedere servono solo a evitare la pressione alta dei centrocampisti avversari. L’Inter con il caratteraccio flessibile di Spalletti. La Lazio è l’unica idea nuova del nostro calcio, giocatori solo buoni ma applicati a una trama e alla corsa. La Roma è qualcosa che si avvicina. Ma il resto è spirito di conservazione dei tecnici, usare per non osare, fare tutti la stessa cosa. È come una moltiplicazione infinita dei problemi del Milan, che sarebbe una buona squadra, ma vuol giocare come le altre.

    di Mario Sconcerti per il Corriere della Sera


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