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  • Selvaggi a CM: 'Nel mio paese non c’era un campo sportivo e sono diventato campione del mondo. In Spagna non ho giocato, ma fu un trionfo di tutti'

    Selvaggi a CM: 'Nel mio paese non c’era un campo sportivo e sono diventato campione del mondo. In Spagna non ho giocato, ma fu un trionfo di tutti'

    • Michele Antonelli
    "Nel mio paese non c’era un campo sportivo e ho vinto il Mondiale. Per il calcio ho dato tutto, ma quando ho cominciato non credevo di arrivare nemmeno in Serie B. Se ci penso, sembra un sogno". Franco Selvaggi, classe ’53, è nato a Pomarico, centro di poco meno di 4.000 abitanti incastonato tra i fiumi Bradano e Basento, in provincia di Matera. Autore di 49 reti in A con le maglie di Cagliari, Torino, Ternana e Udinese, Spadino - come venne soprannominato per il fisico brevilineo e il 38 di piede - nel 1982 prese parte alla spedizione azzurra in Spagna, senza mai scendere in campo. Quarant’anni dopo, ricorda il trionfo con orgoglio: "È un’avventura che sento mia, una vittoria costruita insieme ai miei compagni. In tornei così importanti, senza un gruppo affiatato in fondo non si arriva".

    "UN MINUTO? NO GRAZIE" - "Sapevo che sarei partito per la Spagna per fare il vice-Rossi, la convocazione di Bearzot non fu inaspettata perché a Cagliari stavo facendo bene. Il mister mi fece esordire già nell’81 e ho dato anch’io un piccolo contributo durante le qualificazioni, ma in Spagna fu il torneo di Paolo e sono contento che sia andata così. Da anni avevamo un rapporto stupendo, eravamo amici fuori dal campo. Qualcuno ogni tanto mi chiede cosa darei per tornare indietro ed entrare almeno un minuto, ma dico che giocare tanto per giocare ha poco senso. Non è una presenza che legittima un titolo mondiale". Questione di scelte: "Come me, non misero piede in campo Baresi, Vierchowod, Dossena e Massaro. Gente di un certo livello. Bearzot ha sempre voluto due giocatori con le stesse caratteristiche per ogni ruolo, per evitare di dover cambiare sistema di gioco in caso di infortuni. La forza di quel gruppo fu proprio la consapevolezza, ognuno capì il proprio compito. C’era grande rispetto tra compagni, senza invidie. E nelle sfide in allenamento, i titolari non avevano mai vita facile". 

    PARTENZE RIMANDATE - Così iniziò l’avventura, con il desiderio di dare il massimo giorno dopo giorno: "Quella squadra era piena di giocatori abituati a vincere coppe e scudetti, ma in manifestazioni così non ci sono partite facili e il primo turno fu faticoso. Con la Polonia, che alla fine arrivò terza, pareggiammo, forse meritando qualcosa in più. Il Perù e il Camerun, squadre fisiche, ci misero poi molto in difficoltà". La qualificazione al secondo turno arrivò senza entusiasmare, dopo tre pareggi e poche emozioni: "Se all’inizio poteva esserci spazio per qualche calcolo, a quel punto si iniziò a giocare solo per vincere. E potevamo farlo contro tutti perché sapevamo soffrire. Avversari come Brasile e Argentina esaltano, subentra una carica in più". Nonostante il pessimismo di contorno: "Ci davano per spacciati tutti, non solo i giornalisti. Mia moglie, la moglie di Antognoni e quella di Cabrini avevano già prenotato il volo di ritorno e non per scaramanzia. Quando andammo in semifinale, furono costrette a dividere una camera in tre, per mancanza di posti negli alberghi (ride, ndr)".

    CARTOLINE - Nel ricordare l’estate del Mundial, Selvaggi si blocca su un fotogramma: "Dopo il successo con l’Argentina, negli spogliatoi andammo a consolare Paolo Rossi. Era contento per il risultato e, allo stesso tempo, arrabbiato con sé stesso per non aver ancora segnato. Prima del 2-0 di Cabrini, sciupò una grossa occasione. Era dispiaciuto, ma sapevamo che si sarebbe ripreso tutto con gli interessi". Iniziò dalla partita successiva: "Contro il Brasile, una squadra che oggi farebbe paura a chiunque. Una tripletta da leggenda, accompagnata dalla spinta del pubblico di casa, che iniziò a tifare per noi dopo l’eliminazione della Spagna. La magia di quella partita ci trascinò al trionfo". Arrivato dopo i successi, in semifinale e in finale, contro Polonia e Germania Ovest: "A quel punto, l’Italia era imbattibile". 

    LIBRI E PALLONI - Con l’immagine della coppa, il racconto si colora di aneddoti, a cominciare dalle notti pre-partita: "Io e Tardelli eravamo vicini di stanza. Marco spesso non riusciva a prendere sonno per l’ansia, io dormivo poco già di mio e capitava spesso e volentieri di farci compagnia fino a tardi. Per me non era una grossa preoccupazione, non giocavo. Per lui poteva essere un problema (ride, ndr)". E poi un’istantanea, dalla festa finale: "Dopo la partita di Madrid con la Germania, rientrammo in albergo. Io, Graziani e Conti, grandi casinari, iniziammo a palleggiare nella hall. Poi si aggregarono anche gli altri, che momenti…". Con qualche assente al momento dell’appello: "Mancavano Zoff e Scirea, i nostri capitani, e andammo a chiamarli nella loro stanza. Avevano già fatto le valigie, li trovammo sul letto a leggere dei libri. ‘Siamo tranquilli così’, dissero. E iniziammo tutti a ridere. Era il loro carattere, da episodi come questo si capisce lo spessore dei campioni". E la compattezza di un gruppo Mundial.

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