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  • Serie A falsata dal caso Parma: calcio italiano in fuorigioco

    Serie A falsata dal caso Parma: calcio italiano in fuorigioco

    LA CRISI DEL PARMA FALSA LA SERIE A. DA 5 ANNI NESSUNA VITTORIA ALL’ESTERO. 
    Calcio, la passione italiana sta finendo in fuorigioco. 
    Da campionato più bello del mondo a quarto palcoscenico in Europa: la Juventus fattura 280 milioni, il Real Madrid sfiora il doppio (550). 

    Il calcio italiano è al collasso. Domenica 22 febbraio la partita di serie A Parma-Udinese non si è giocata perché il Parma non aveva neppure i soldi per pagare gli steward e accendere le luci dello stadio Tardini, mentre i calciatori gialloblù aspettano di essere pagati da 7 mesi e diversi fornitori anche da più tempo. 

    IL CROLLO DEL DUCATO - A Parma il calcio è nel caos: dal 7 dicembre sono cambiati sei presidenti e tre proprietari, il debito in sette anni è aumentato del 1.200 per cento e oggi tocca quattro volte il fatturato. Ci sono 16 milioni di tasse non pagate. Eppure, dopo i fasti dell’era Tanzi, della Parmalat e il successivo crollo, la società di calcio venne ripulita dai debiti durante la gestione di Enrico Bondi e consegnata sgravata dai pesi del passato al nuovo proprietario Tommaso Ghirardi. Il debito nel 2006 era di 16 milioni di euro, oggi si aggira sui 200. Nessuno, tra Federazione e Lega si è mai accorto di nulla. Però la Covisoc, la commissione di vigilanza, benché svuotata di alcuni poteri, segnalò già ad aprile 2014 la condizione critica della società emiliana. Qualcuno si voltò dall’altra parte e il Parma il mese successivo venne escluso dalle competizioni europee per il ritardato pagamento di 300 mila euro di Irpef. 

    FALLIMENTI - Di fallimenti economici è disseminato il passato del calcio italiano. Hanno portato i libri in tribunale l’Avellino e il Pisa, il Venezia e il Treviso, l’Ascoli e il Monza e, più recentemente, il Padova, il Bari e il Siena. Ma erano 72 anni che una partita non veniva giocata a campionato in corso per motivi che non fossero meteorologici. L’ultima volta accadde a Palermo: era il 1943 e sulle spiagge siciliane stavano sbarcando gli alleati anglo-americani... Questa invece è un’altra guerra. Si combatte tra la passione popolare - peraltro in calo - e un’industria fuori equilibrio, dove le uscite sono moltiplicate dal costo del lavoro - gli ingaggi dei calciatori - e le entrate si riducono sempre più attorno all’unica voce in crescita, i diritti televisivi. 

    Quella del calcio italiano è anche una crisi di credibilità. Il presidente della Federazione, Carlo Tavecchio, eletto nel 2014, è stato squalificato per sei mesi dalla Uefa e dalla Fifa, le due organizzazioni che gestiscono il calcio a livello europeo e mondiale, per razzismo. Tavecchio, infatti, si era segnalato per alcune frasi sui calciatori stranieri, i tanti «Optì Pobà» che ai suoi occhi si nutrivano solo di banane prima di venire in Italia. Sei mesi di squalifica dall’estero, neppure un plissé in patria. Un altro uomo forte del calcio italiano, il presidente della Lazio, Claudio Lotito, è stato intercettato al telefono mentre diceva che il presidente della Lega delle società, Maurizio Beretta, «conta niente». Lo stesso Lotito, al telefono con il direttore generale dell’Ischia Calcio, Pino Iodice, ha posto il problema dei bacini d’utenza della squadre neopromosse, toccando però il diritto sportivo che è alla base del calcio che conosciamo in Italia. La palla, insomma, secondo Lotito, dovrebbe essere per alcuni più rotonda che per altri. Il tutto, ovviamente, a campionati in corso.

    RISULTATI - I risultati sportivi poi non ci sono. La Nazionale italiana ha vinto il campionato del mondo nel 2006. Da allora solo due modestissime apparizioni ai mondiali e la finale degli Europei di Kiev, nella quale gli azzurri sono stati umiliati dalla Spagna. A livello di club, l’ultimo successo è dell’Inter di Mourinho, Champions League, 22 maggio 2010. Da allora cinque anni di vuoto. Il Milan che nel primo decennio del secolo ha disputato tre finali di Champions, vincendone due, è a metà classifica del campionato italiano. La Juventus, che domina in Italia, non vince in Europa dal 1996 (nel ‘99 ha vinto la non memorabile coppa Intertoto dell’Uefa). 

    La vicenda Parma ha già falsato il campionato, comunque finisca. Ci sia o no il fallimento pilotato, ci siano o meno le sconfitte a tavolino per 0-3 in tutte le prossime partite, il principio di uguaglianza sportiva e di competitività è già stato leso a San Siro il primo febbraio scorso, quando il Parma giocando contro il Milan tenne in panchina per tutta la partita il calciatore della Nazionale Gabriel Paletta, ceduto la mattina dopo, 2 febbraio, proprio al Milan. 

    BILANCI- «Le perdite complessive del sistema calcio - spiega Emanuele Grasso, di Pwc, che con Arel ha curato il recente Report sul calcio - si aggirano sui 300 milioni di euro. Di questi 200 solo in Serie A, a causa soprattutto della sproporzione tra costo del lavoro e valore della produzione. Un rapporto non più sostenibile». Il peggio però deve ancora arrivare. «Il sistema si nutre dei diritti televisivi - dice Grasso - i ricavi da stadio e dal merchandising sono in calo. E se tutto scende, prima o poi anche la tv adeguerà la propria offerta». Il confronto con l’estero è impietoso. Il Real Madrid, secondo un’indagine di Deloitte, è per il ventesimo anno consecutivo, la prima squadra al mondo: fattura 550 milioni di euro, quasi il doppio della Juventus. L’Italia, un tempo sede del campionato più bello del mondo, oggi è quarta in Europa. Inghilterra, Germania e Spagna offrono uno spettacolo migliore. «Anche le squadre inglesi percepiscono molto dai diritti tv - dice Grasso - ma quanto a ricavi da stadio e merchandising sono più avanti di noi. La Germania poi, riempie gli stadi per il 90 per cento con gli abbonamenti...». L’Italia rischia di diventare Serie B d’Europa. Gli stipendi dei calciatori hanno iniziato a scendere, ma solo perché si è realizzata una fuga. Dei top player in Italia è rimasto solo Carlos Tevez della Juventus, che però ha già detto che l’anno prossimo tornerà in Argentina. 

    di Stefano Righi (Corriere Economia)
     

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