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  • Serie A maleducata: ci vogliono 5 regole

    Serie A maleducata: ci vogliono 5 regole

    • Luca Borioni
    Il calcio italiano è maleducato, cerca di imporre le cattive abitudini al posto del buon senso. Dalle non esultanze alle scuse non richieste verso gli ex tifosi. Il rischio di una deriva a questo punto è alto… Arginiamolo con 5 nuove regole.

    1. Non si parla con la mano davanti alla bocca. Quelli come Cassano o Balotelli devono forse trasmettere comunicazioni fondamentali per la salvezza del mondo. Ma forse no. In ogni caso, non è possibile che ogni prezioso sussurro meriti di essere celato agli occhi delle telecamere. Comprensibile l’ansia del multimediale, ma si diano una calmata. C’è da scommettere che al primo sguaiato colpo di tosse poi, si dimenticheranno di usarla, la manina, come invece il galateo suggerirebbe. Che beffa. L’uso prolungato della mano da auto-censura ha una doppia chiave di lettura: impedisce di leggere il labiale ma fa intercettare il quoziente intellettivo dell’autore.

    2. Non ci si ferma dopo un presunto fallo di gioco (o presunto infortunio) se l’arbitro non ha fischiato. E basta. Il gioco italico vorrebbe imporre da un po’ di tempo a questa parte la regola delle belle statuine quando un collega va giù. Il calciatore nostrano ne fa una questione d’onore, si irrigidisce se un suo simile si trova in apparente pericolo di vita. Ok, il pensiero è apprezzabile ma cozza contro le leggi internazionali del calcio che assegnano all’arbitro la facoltà di interrompere la partita, usando un comodo fischio al posto del block di militaresca memoria. Anche qui, il rischio è di scatenare reazioni scomposte a catena tra chi si indigna e chi non capisce o finge di non capire. Meglio affidarsi al tanto vituperato direttore di gara. Senza drammi.

    3. Non sta bene mimare il gesto dell’arbitro che sventola il cartellino. Non si fa. Poi dicono che gli italiani gesticolano. Forse alcune mimiche risultano simpatiche all’estero, questa in particolare proprio no. Non è compresa nello spirito del gioco l’arte di indurre l’arbitro ad ammonire un avversario, anche se ai tempi di calciopoli quella dell’ammonizione in più o in meno fu questione vitale. Anche in questo caso, mettiamo da parte l’atavica diffidenza e affidiamoci all’arbitro: sceglierà lui se estrarre il giallo o il rosso, oppure nulla. Niente più rotolate a terra con automatico movimento del braccio a mo’ di ammonizione. Anche l’estetica ne trarrà giovamento.

    4. Davanti alle telecamere, non si risponde sgarbatamente all’intervistatore di turno. Vale per giocatori e – di più – per i maturi allenatori. Va bene che l’adrenalina da partita non è ancora passata, va bene che a caldo la tensione agonistica gioca brutti scherzi. Ma come la mettiamo con i doveri deontologici dettati in molti casi da stipendi milionari? Chi guadagna cifre da capogiro fa bene a tenere i nervi saldi e ad avere rispetto per la platea che, in definitiva, foraggia tutto il circus del calcio. Fair play per favore. Modelli da seguire ce ne sono. Ad esempio, Sousa. Oppure Sarri che mercoledì sera ha dichiarato… “odio il mercato”.

    5. Repetita juvant. Quando si fa gol, si esulta serenamente. Magari senza esagerare con balletti o coreografie, specie se indisponenti o addirittura offensivi. Ma fare festa è normale, anzi è caldamente consigliato. Fa parte del gioco. Nessuno tra gli avversari (dotati di comune buon senso) ci rimarrà così male da farne un dramma, suvvia. E gli ultras avranno pure un cuore tenero, ma anche una pellaccia. Quelli del Napoli se Quagliarella avesse agitato una manina in segno di gioia se ne sarebbero fatta una ragione, specie avendo provveduto a ricoprirlo di insulti prima e dopo. Men che meno si chiede scusa per un gol segnato alla propria ex squadra: excusatio non petita.

    Per adesso basta così, ma potremmo continuare. Avete suggerimenti?

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