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  • Sindaco Milano: 'Rivalutiamo il S.Siro, vogliamo risposte dal Milan'

    Sindaco Milano: 'Rivalutiamo il S.Siro, vogliamo risposte dal Milan'

    Ai microfoni della Gazzetta dello Sport, il nuovo sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha parlato dell'incontro tenuto ieri con Jindong Zhang e del futuro della società di corso Vittorio Emanuele, con la speranza che possa giocare ancora al S.Siro, magari insieme al Milan, che però dovrà dare risposte a breve

    Che impressione ha avuto dal primo incontro con i nuovi proprietari dell’Inter?
    «Senza dubbio positiva. Ho apprezzato l’idea di un investimento a lungo termine sull’Inter, che è una garanzia inderogabile per me. Da un lato c’è la figura di Mr. Zhang, un self-made man, e della sua famiglia. Dall’altro c’è un gruppo con un fatturato enorme e l’intenzione di usare Milano come base per farsi conoscere nel mercato italiano ed europeo: si possono già immaginare possibilità di collaborazione tra Suning e la città di Milano».

    Sbarcano i cinesi nel calcio italiano, in una Milano sempre più orientata alla globalizzazione. Quali opportunità si aprono?
    «A Zhang ho detto che sono arrivati nel momento giusto. Dopo il successo di Expo, la città può evolvere ulteriormente. Alla base della mia azione da sindaco ci sono proprio l’apertura internazionale e l’aumento della credibilità, senza dimenticare che Brexit è un’occasione per Milano, come può proporsi come piazza finanziaria e di servizi alternativa a Londra. Il calcio è molto importante per Milano, non è solo una questione di storia e tradizione ma anche di benefici per l’economia, e mi riferisco a hotel, ristoranti, negozi. L’impatto della finale di Champions è stato strepitoso e anche per questo è importante che Inter e Milan tornino a disputare la coppa più importante: per Milano un evento è Expo o il Salone del mobile, ma anche una partita di Champions League». 

    Da queste parole dobbiamo dedurre che non si iscrive al partito dei nostalgici verso un’idea romantica del calcio, legata ai mecenati italiani.
    «Non ci sono alternative all’apertura ai capitali stranieri. Sono molto amico di Massimo Moratti e ritengo che anche lui sia dell’idea che non vale la pena guidare l’Inter soffocandola alle ambizioni nazionali. Perché una cosa è chiara: per avere ambizioni europee servono risorse importanti e oggi non vedo nessun imprenditore milanese in grado di sobbarcarsi simili impegni nel calcio. Non so come si concluderà la trattativa per la cessione del Milan ma se il club rossonero dovesse finire in buone mani, come ritengo sia stato per l’Inter, sarei contento. Spero che anche il Milan trovi presto una dimensione definitiva, anche perché quando gruppi di questa portata si muovono è perché hanno l’ambizione di condurre le squadre a una dimensione europea». 

    Solo così il calcio italiano potrà uscire dalla crisi per riavvicinarsi all’élite?
    «L’unica via che ha una società di Serie A per vivere bene nel contesto internazionale è di interfacciarsi con un mercato che non può essere solo italiano: in particolare quello asiatico, per dimensioni e per livello di interesse, offre opportunità che sono state sconosciute fino a poco tempo fa. Se osserviamo l’Europa con gli occhi di un investitore straniero scopriamo che è difficile acquistare una squadra in Germania e Spagna, dove ci sono forme più o meno pure di azionariato popolare, e che in Inghilterra con la Brexit tira una brutta aria. Tolto il campionato francese che ha praticamente solo una squadra, resta l’Italia per chi vede il calcio come una piattaforma per sbarcare in Europa. Dovremo essere bravi a cavalcare il fenomeno, migliorando la qualità del campionato e mettendo la sicurezza degli stadi in cima all’agenda. Pure con un occhio alla programmazione delle partite: capisco le esigenze dei diritti televisivi, ma piazzare Milan o Inter la domenica sera contrasta con le abitudini milanese. Per portare le famiglie allo stadio è meglio giocare il sabato sera o la domenica pomeriggio».

    Torniamo all’Inter. Che consigli ha dato ai nuovi proprietari?
    «Ho spiegato loro che hanno fatto un investimento non solo sull’Inter ma su Milano e che devono vivere la città e integrarsi. Loro lo sanno già, tant’è che il figlio di Zhang, Steven, ha mostrato interesse a passare del tempo in città e a seguire il business da vicino. In effetti non è così male vivere a Milano, c’è certamente di peggio…».

    L’Inter ha già sperimentato la proprietà straniera ma l’era di Thohir è stata deludente. Crede che con Suning sarà diverso?
    «Per stessa ammissione di Thohir, Suning è un gruppo che ha disponibilità finanziarie più importanti e che opera su un mercato, quello cinese, che non è quello indonesiano. Ci sono tutte le premesse per una svolta, anche perché ho avuto l’impressione di un gruppo fatto di manager dallo standing internazionale, che sono poi le persone entrate nel consiglio d’amministrazione dell’Inter, compreso Steven che è un ragazzo molto sveglio. E in testa c’è un signore, Zhang Jindong, che decide e ha spirito molto pragmatico. Comunque Thohir ha fatto la sua parte».

    Da tifoso nerazzurro cosa si aspetta dal mercato? Suning ha immesso 242 milioni nelle casse dell’Inter. I soldi non sono più un problema, anche se rimangono i paletti del fair play Uefa.
    «In effetti, ci sono le risorse ma non possiamo dimenticare i vincoli: da un lato le regole europee, dall’altro la rosa eccessiva. Non guarderei ai grandi nomi ma a chi è messo in evidenza all’Europeo. Penso alla nazionale croata, da cui l’Inter ha già pescato bene».

    E il tormentone Yaya Touré?
    «L’ho conosciuto a Expo, è davvero una persona deliziosa ma preferirei che si investisse su un progetto giovane».

    Dove potrà arrivare l’Inter il prossimo anno?
    «La Juve è ancora favorita, con un Dani Alves in più e un Dybala che maturerà ancora. Ma l’Inter con un paio di rinforzi di alto livello, oltre a Banega che mi piace parecchio, può lottare per lo scudetto. Anzi deve farlo: la pensa così anche Zhang».

    Con Suning avete parlato anche dello stadio. Cosa vi siete detti?
    «C’è una forte volontà a rimanere a San Siro e investire sull’impianto. Ci incontreremo più avanti con il gruppo cinese per studiare realisticamente cosa possiamo fare e nel frattempo cercheremo di capire che intenzioni ha il Milan. L’ideale sarebbe che le due squadre rimanessero a San Siro e condividessero un piano per la sua valorizzazione. È uno stadio con un alto valore storico e simbolico, raggiungibile in metropolitana, con spazi attorno da sviluppare; lo svantaggio è che nella formula attuale si presta poco a un utilizzo commerciale. Quello che vorrei è che non si lasciasse perdere il brand San Siro. Col rispetto della memoria di Meazza, io lo chiamo San Siro fin da piccolo. Così è noto in tutto il mondo. E così mi piacerebbe fosse sempre chiamato». 

    Come si immagina lo sport a Milano? L’impiantistica va a rilento, come hanno dimostrato in questi anni i casi del Palalido e del Vigorelli.
    «In effetti gli impianti sportivi non sono all’altezza della città: bisognerà discutere col Coni e fare una riflessione seria. E poi cercare di ospitare quanti più eventi sportivi perché la gente viene volentieri a Milano».

    Ha un sogno nel cassetto per il suo mandato?
    «La lancio come una suggestione, tutta da verificare in termini di costi: sogno di portare l’inizio del Tour de France».

    A Roma infiamma la polemica sulla candidatura all’Olimpiade 2024. Se fosse nei panni del sindaco Raggi sarebbe altrettanto scettico?
    «Bisogna stare molto attenti alle criticità sui lavori e ai rischi di corruzione, insomma ai problemi italiani che con Expo siamo riusciti a superare. Ma è innegabile che i grandi eventi diano un ritorno, a patto che vengano gestiti bene. Se a Milano ci fossero gli impianti sportivi necessari, potremmo candidarci noi per l’Olimpiade».

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