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  • Socrates: 'Quando Segato mi aiutò; e a 200 all'ora...'

    Socrates: 'Quando Segato mi aiutò; e a 200 all'ora...'

    • Socrates (traduzione di Lorenzo Marucci)
    Il viaggio non è stato dei migliori. Ero in ansia per ciò che mi aspettava e non sono riuscito a dormire, tantomeno a tranquillizzarmi. Trascorrere un anno in un paese lontano, affrontare una cultura molto diversa dalla mia mi metteva paura, se non terrore. Ho sempre avuto difficoltà con le cose nuove. Magari perché ho lasciato tardi casa mia dove sono stato protetto a lungo. Ero assolutamente coinvolto nelle vicende del mio popolo e del mio paese.
     
    Ad ogni modo la scelta fu mia e ho cercato di trarre il meglio da quella esperienza che allora mi provocava tanta insicurezza. Sbarcai a Fiumicino, l’aeroporto internazionale di Roma, e mi aspettava un autista ben vestito, cravatta e scarpe brillanti. Sono certo che dopo un viaggio come quello che feci, ero scombussolato dalla testa ai piedi. Sfortunamente non mi ricordo il suo nome, ma so che era una persona speciale, si vedeva subito dalla faccia. Un signore fine, educato e che mi accolse subito bene. Salii poi sulla Mercedes che guidava e prendemmo la direzione di Firenze, la famosa autostrada A1. Durante il viaggio cominciammo a comunicare con difficoltà, perché io non parlavo per niente l’italiano. Mi ricordo quando dalla mia bocca scappò un ‘permanecer’ (rimanere, ndt) e lui immediatamente mi disse: ‘Così, è così. Inizi già a parlare italiano’. Per lo meno fu questo ciò che capii. Fui felice e molto più elettrizzato a partire da quel momento, per non dire commosso del suo tentativo di incoraggiarmi.
     
    Mentre provavamo a comunicare, guardavo le località da cui passavamo, ma prima di tutto un’altra cosa mi impressionò: la velocità dei veicoli. Più o meno sempre intorno ai 200km/h. Per me una pazzia. Per questo il manto stradale era così uniforme e le indicazioni così chiare: per evitare molti incidenti, che se fossero accaduti sarebbero stati di notevole gravità. La segnaletica a volte indicava località che mi sembravano quasi familiari, come Assisi, Arezzo o Viterbo, che mi ricordava la città vicina a Riberao Preto, Santa Rosa, mentre altri cartelli mi riportavano a  Cortona che mi promisi di visitare. Dopo poco più di due ore ci avvicinammo a quella che sarebbe stata la mia casa nei tempi futuri.  Entrammo in Firenze che dentro di me continuava a chiamarsi Florença, dal casello dove molte volte sarei passato, molto vicino al luogo dove avrei vissuto. Immediatamente l’autista mi comunicò che saremmo andati direttamente allo stadio comunale dove la città mi avrebbe ricevuto. L’architettura splendida ma anche le lambrette che molti giovani utilizzavano, richiamarono la mia attenzione.
     
    Alla fine arrivammo e lì mi aspettavano la dirigenza del club, molti giornalisti e alcune centinaia di tifosi fuori dallo stadio, per salutarmi e darmi il benvenuto. Dopo la presentazione fui portato in un piccolo auditorium per il primo contatto con la stampa. In questo preciso momento intuii i problemi che avrei avuto nel farmi capire; tuttavia vidi tra i presenti un personaggio particolare. Si era fatto vedere durante le trattative per il mio passaggio a Firenze dicendo che mi voleva aiutare. Se non mi ricordo male aveva legami con alcune compagnie aeree o qualcosa di simile. Capii che voleva approfittarsi della situazione e pensai che sarebbe stato meglio se mi fossi liberato di lui. La mia sorpresa fu di vederlo nel gruppo della stampa e quando si presentò per fare la traduzione. Ero già in difficoltà di fronte alla platea di giornalisti ma rimasi silenzioso, molto attento. Nel frattempo mi accorsi che non traduceva esattamente ciò che dicevo, senza che rispettasse la mia posizione e le mie convinzioni. Fu il primo choc riguardo alle mie idee e all’atteggiamento degli italiani. Non potevo accettare ciò che stava succedendo. Non mancò lo stupore generale, e il dibattito si interruppe per un po’ finche un’altra persona - questa di miglior qualità e che diventò un grande amico - Gianluca Segato, un ragazzo che ha studiato e appreso un po’ di portoghese, si mise a disposizione per aiutarci e fu prontamente accettato. Così potemmo dar seguito alle domande e tutti furono soddisfatti. Io intanto ero stanco e arrabbiato per la petulanza dell’’aviatore’. Sognavo un bel letto silenzioso per riposarmi. Ma mi portarono a mangiare velocemente dopo avermi presentato ai tifosi, i ‘torcedores’. Il posto era magnifico, anzi splendido. Una vista sui principali monumenti come Ponte Vecchio, e la cattedrale, a cui si arriva attraverso una via sinuosa salendo una collina fino ad una piazza dove si staglia una copia in grandezza naturale della celebre immagine del David di Michelngelo. Una veduta incomparabile, proprio davanti al ristorante dove ci fermammo per pranzare. Mi sentii leggermente in difficoltà, perché il locale mi parve estremamente chic per chi come me indossava una maglietta, jeans e scarpe da tennis, di fronte alla formalità degli italiani inappuntabili.

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