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  • Speziamania: coscienza e totalitarismo di un'identità

    Speziamania: coscienza e totalitarismo di un'identità

    • Gianni Salis
    I numeri sono belli ma anche asettici. Pratici. Difficilmente interpretabili, perché sono assoluti, totalitari, a meno che non ci si metta in domini diversi tra loro. E nel dominio della realtà, quelli di Cagliari assumono connotati sempre più profondi, legati ad un primo tempo di calcio totale vecchio stampo, oseremmo dire perfetto, in cui l’Aquila, sempre più ‘meccanica’, sfiora il 70% di possesso palla per un dominio quasi assoluto in cui il Cagliari appare uno sprovveduto e timido sparring-partner.

    I numeri, sempre loro, dicono oramai che ad oggi questo Spezia, matricola irriverente, non è più una sorpresa, avendo raggiunto quota 10 in classifica dopo 9 turni di campionato: come i bianchi di Italiano solo il Siena di Papadopulo, stagione 2003-04. Ma i numeri non dicono mai abbastanza se non fossero sorretti nell’analisi dello scribano dalla qualità del gioco che settimanalmente la squadra del patron Volpi spande sui terreni  di mezzo stivale.

    Una qualità che si traveste, si alimenta e fortifica nel ‘totalitarismo’ di Vincenzo Italiano, come è stato giustamente definito: è la testa di ariete per provare a scalfire le più cupe previsioni di inizio stagione. Qui dunque non si tratta più di coraggio, ma di sapiente coscienza, anche e soprattutto dei propri limiti tecnici, che si affida all’idea totalitaria, pragmatica dell’omino di Karlsruhe. L’identità di questo Spezia prende vita e sostanza dunque proprio in questo momento, da questa unione simbiotica tra coscienza tecnica e totalitarismo. La forza dei liguri sta proprio nel non potersi permettere alcun rimpianto. E finora non ce ne sono.
     

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