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  • Stop al tiki taka: la rivoluzione di Luis Enrique, l'uomo giusto per la Spagna

    Stop al tiki taka: la rivoluzione di Luis Enrique, l'uomo giusto per la Spagna

    • Furio Zara
    Lucho, come lo chiamavano a Roma, a 48 anni ritrova quella nazionale che aveva lasciato - da calciatore - sedici anni fa, nel 2002, dopo uno 0-0 tra Corea del Sud e Spagna a Gwangju, Mondiale di Corea-Giappone, per l’ultima delle sue 62 presenze con la maglia delle Furie Rosse. L’asturiano, è nativo di Gijon, Luis Enrique è il nuovo ct della Spagna: prende il posto del ct pro-tempore, Hierro, che a sua volta era subentrato a Lopetegui, cacciato con infamia dopo aver firmato col Real proprio prima dell’inizio di Russia 2018.

    Dovrà riunire la Spagna, svecchiare la nazionale, dare atto al ricambio generazionale. Trovare, dal punto di vista tattico, un’alternativa al tiki-taka, che dopo aver funzionato per un decennio al Mondiale ha rivelato la sua fragilità. La personalità non gli manca, l’idea forte di calcio neppure. Nei suoi tre anni sulla panchina del Barcellona Luis Enrique ha vinto tutto. Il Triplete alla prima stagione (con la finale di Champions vinta 3-1 contro la Juventus), subito dopo la vittoria della Supercoppa Europa e dal Mondiale per club (e un’altra Liga). Reduce da un anno sabbatico passato a girare il mondo, riflettere sulle opportunità di carriera (era stato accostato al Chelsea e all’Arsenal) e rifiutarle, forzare i tempi in quello che è il suo passatempo preferito, la mountain bike; Luis Enrique è pronto alla nuova sfida.

    Una la vinse già ai tempi del Barca: arrivò e di fatto ruppe il cordone ombelicale che legava la squadra e tutto l’ambiente alla filosofia di Pep Guardiola. Annacquato il tiki-taka, il suo Barcellona giocava con un 4-3-3 molto offensivo come da tradizione, ma il possesso palla non era un’ossessione. Luis Enrique ebbe il merito di «ricostruire» Messi, dandogli tutta la libertà di inventare calcio e spostandolo sulla destra, fascia usata come piedistallo di partenza per le sue giocate: Leo lo ripagò con gli interessi, nell’anno del Triplete segnò 58 gol in 56 partite e con Neymar e Suarez, quell’anno, diede vita al più straordinario tridente (120 gol complessivi) della storia recente del calcio mondiale. Il gioco del Barcellona di Lucho era semplice e verticale, tutto passava per i piedi di Rakitic, che grazie al tecnico trovò la sua dimensione di top-player.

    Nella gestione dei giocatori Luis Enrique preferisce tenere una certa distanza, come dimostrato in tutte le sue esperienze (a Barcellona ha avuto qualche screzio con Messi e Neymar). Ha le spalle larghe abbastanza per affrontare l’inevitabile pressione di una Spagna uscita malconcia dal Mondiale, non tanto e non solo per l’eliminazione, quanto perché - per la prima volta nell’ultimo decennio - la filosofia di gioco, la magia del tiki-taka, viene messa in discussione, dando vita ad una guerra di religione che lo vedrà inevitabilmente coinvolto. Nella primavera del 2017 annunciò di lasciare il Barcellona per «stanchezza». Ora Lucho ha ritrovato la voglia. Ed è pronto per una nuova sfida. Quella di riunire un paese, e di dare al suo popolo una nuova religione in cui credere.

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