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  • Super Frey:|E il suo Grifone

    Super Frey:|E il suo Grifone

    Superman è tornato. A Gijon ha indossato il vestito nuovo, con i colori tradizionali: mantello rosso, tutina blu. Rossoblù. Tutti da lui i compagni, a fine partita, ad abbracciarlo. E lui sorridente: «Mi sembra di essere in questo gruppo da un anno, non pochi giorni». Bienvenue, Sébastien Frey.

    Accento francese che quasi non si sente più. Sulla panchina di Acqui Terme vicino alla Bollente, arriva un amico e il portiere dice: «Pardon, possiamo interrompere un momento l’intervista?». Ci mancherebbe. Un abbraccio. «A presto. Ma il portafoglio dov’è?». «È rimasto sul tavolo». Al bar vicino, dove ci sono Dainelli e gli altri. «Speriamo non paghino, voglio offrire io». Musica alta. «L’ho appena fatta cambiare», sogghigna. «La musica è importante, anche per avvicinarsi alla partita, con ritmo forte». Prima del Molinon, di nuovo quella di SuperSeba, come ai tempi più belli di Firenze. Qui si fa subito serio. «Sono felice della mia scelta, mi spiace solo il modo in cui ci siamo lasciati, avrei voluto salutare tutti di persona». Occhi negli occhi. «Così è la vita». Cadenza toscana, ciao Superman.

    Ma, in viola, Frey non era Wolverine? «Sì, per le basette, ma il vero Wolverine è sempre stato Lupatelli, che ritrovo al Genoa. Gli avevo anche comprato un vestito da Wolverine, l’ultimo anno che era a Firenze, io mi ero vestito da Superman ed eravamo andati a una cena di Halloween». Ok, allora si prepara il manifesto dei magnifici quattro. «Lo appendiamo nello spogliatoio». Scarpi? «L’uomo bionico o Iron Man». E Spinelli? «Serve una cosa che faccia ridere...». Pausa. «Lui è sempre in movimento, Flash». Pronti. E il Genoa tutto? «A Firenze anni fa era stato fatto un progetto che portasse in Champions. Credo che ora si possa fare qui. Il Grifone sarà la mia ultima squadra, anche per il contratto importante che mi è stato fatto, e io voglio dare tanto, come giocatore e come uomo. Lasciare un’impronta».

    Fosse impronta animalesca, non avrebbe dubbi.

    «Tigre, l’animale in cui mi rivedo. Lo portavo anche sui parastinchi, quelli che ora tengo a casa perché ho paura che si rovinino».

    Ecco, di lei come giocatore si sa quasi tutto. Allora l’altro Frey: è vero che voleva comprarsi una tigre?
    «Certo, quando ero all’Inter. Sono andato a comprare il mio primo labrador, c’erano anche altri animali e, cavolo, un cucciolo di tigre, ho fatto la foto con lui in braccio. Poi il proprietario mi ha fatto vedere la madre, nel retro, era 800 chili... ho preso il labrador».

    Altre cose strane fatte?

    «Tante, ma sempre nei limiti, le cose che fanno tutti per divertirsi. E poi ora sono papà, non si esagera».

    Tigre che ama il mare.
    «Assolutamente. La prima casa che ho visitato con vista mare, l’ho presa. E ho già trovato i posti buoni per la pesca sugli scogli. Io sono cresciuto a Nizza, per me il mare è fondamentale».

    E là era suo nonno Andres a portarla a giocare.
    «Sì, alla scuola calcio. Lui era stato un grande calciatore, ci ha trasmesso la passione. E ogni pomeriggio, dopo allenamento, mi portava a mangiare una brioche con la Nutella, sono sapori e ricordi che durano per sempre».

    A proposito, cucina?

    «Poco, voglio imparare. Sono bravo a fare le cozze con la salsa. E grigliate con gli amici. Ma non parliamo di cibo, via, mi sto mettendo in forma».

    Infortuni alle spalle, due volte sia per Frey che per Lupatelli.
    «Sarà l’adamantio di Wolverine...».

    C’entra anche Roby Baggio, del quale ha portato al braccio la fascia.
    «Sì, l’ho indossata ed è stato un onore, ora la conservo a casa. Roberto è una grande persona e ha avuto un ruolo anche nelle mie scelte di vita. Dopo il primo infortunio al ginocchio sinistro l’ho chiamato, lui ne aveva avuto uno simile, e parlando mi sono avvicinato come lui al buddhismo, ormai da sei anni. Mi dà un modo positivo di vedere le cose, gestire le emozioni. Una crescita interiore».

    E all’esterno?

    «È una filosofia basata sulla pace e la serenità, da trasmettere anche al prossimo. La religione non fa miracoli, ma questa dice: comincia a stare bene con te stesso e farai stare bene anche chi ti è vicino. Trasmettendo energie positive, importante in un gruppo».

    In uno spogliatoio.
    «Conta tantissimo e nel Genoa ci sono ragazzi straordinari, quelli che conoscevo come Dainelli, Lupatelli, Moretti, e gli altri. Dario è uno che pesa nello spogliatoio. E lo spogliatoio fa la differenza nel calcio».

    Ma il mondo fuori?
    «È un mondo malato, però si può curare e la medicina siamo noi. Ci si vergogna di guerre, crisi economica globale, sofferenze, ma possiamo venirne fuori. Tutti dovremmo poter stare bene su questa terra. E la vita finisce presto, come la carriera di un calciatore».

    Nella sua, il ricordo più intenso.

    «Tanti. Forse direi i quarti di Champions con la Fiorentina, un percorso straordinario fino a quell’eliminazione ingiusta, gol in fuorigioco di tre metri».

    C’era anche Gilardino. Lo convince a raggiungerla?
    «Non dipende da me, le società fanno le scelte. Alberto è un amico, gli voglio bene e nel caso gli direi che è la sistemazione giusta. Se può scegliere Genova, non sbaglia».

    A Firenze che è successo?
    «Hanno deciso che i contratti importanti sono diventati un problema. Io sono solo sorpreso dal modo, dalla gestione, con me bastava sedersi al tavolo e parlare, come tre anni fa quando mi avevano rifatto il contratto».

    E ora il Genoa.

    «Da un po’ di anni ha obiettivi importanti, con la Fiorentina si giocavano delle finali. Ci sono motivazioni qui, possiamo fare grandi cose in futuro».

    Balzo nel passato, il miglior portiere della storia?
    «Lev Yascin ha rivoluzionato il ruolo del portiere, lo ha reso fondamentale, mentre prima era marginale. Ma dovrei citare anche altri, come Zoff, che ha vinto il Mondiale a 40 anni».

    Oggi?
    «Molti in Europa, come Buffon e Casillas».

    I genoani possono godersi SuperFrey, dopo averlo “odiato” da avversario.
    «Lo so, mi ha scritto un tifoso: “Sono quello che stava dietro di te al Ferraris, ti ho infamato tanto”. Lo sentivo, per anni, lui e tutti i commenti della gente dietro. Può succedere solo a Marassi, sentire una persona in mezzo a 40mila. Uno stadio devastante, tra i più belli d’Italia, quello dove più senti il tifoso».

    Rapporto personale. Allora, Enrico Preziosi.

    «Mi ha chiamato, mi ha fatto capire che mi volevano».

    Malesani.
    «Un esempio: ogni giorno chiede a tutti, “ciao, come stai?”. A me come al ragazzino delle giovanili, è un bel segnale. Ci siamo sempre rincorsi, a Parma e poi a Verona. Ha grandi motivazioni e mi ha sorpreso positivamente, come tutto lo staff».

    Il suo preparatore, Spinelli.
    «Flash. Bravissimo. E posso dire che forse, dopo tanto, ho trovato anche un amico. Nel nostro ruolo è molto».

    Lupatelli.
    «L’ho sempre detto, Lupo è il secondo ideale. E Wolverine è un grande uomo spogliatoio».

    Scarpi.

    «Anche lui. Con Alessio c’è stato un impatto molto positivo. Gran professionista, a 38 anni sempre sul pezzo, un uomo bionico. Spesso il portiere è isolato, trovare tre persone così è raro».

    Al Genoa Superman non è solo.


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