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  • Tardelli a CM: 'I calciatori si tassino tutti assieme. Lo scudetto? A nessuno. La mia Aic sarà un sindacato, non un club. Quando lasciai la Juve...'

    Tardelli a CM: 'I calciatori si tassino tutti assieme. Lo scudetto? A nessuno. La mia Aic sarà un sindacato, non un club. Quando lasciai la Juve...'

    • Marco Bernardini
    Gli affetti ha dovuto gìocoforza lasciarli fuori dall’uscio della sua abitazione romana. Come tutti, del resto. Nicola, il figlio, lavora e vive a Milano nell’occhio del ciclone. Sara, la figlia, è nella capitale ma vive per conto suo. La sua compagna non risiede con lui. Marco Tardelli è solo. Certamente condivide pensieri e parole con i suoi cari usando i mezzi telematici. Ma è roba fredda, quella. Specialmente per un tipo come lui che, meritandosi il soprannome di “Schizzo”, ora dovrebbe vivere questa sorta di domiciliari come un leone in gabbia. Invece no.

    “Ho sessantacinque anni. Se fui “schizzo” oggi non lo sono più. Mi battezzò così Luciano Spinosi, grande difensore e gran burlone. Ma era il 1975 e avevo vent’anni. Tutto fuoco e fiamme dentro. Oggi è il tempo della ragionevolezza e della riflessione. Il che non significa chiamarsi fuori dalla lotta, ma affrontare le battaglie quotidiane con uno spirito diverso dai giorni del furore”.

    Quindi anche questa guerra contro l’orrendo virus assassino?
    “Certamente. Leggo, guardo film, ascolto musica, scrivo e sogno. Fantasie a occhi aperti. Una in particolare, bellissima e ricorrente. Tutti gli italiani, nessuno escluso, che si affacciano al balcone e poi scendono in strada replicando quello che fu il mio urlo mundial in Spagna. Significherà che è arrivato il giorno della nuova liberazione”.

    Dovremo attendere ancora un poco.
    “Più di un poco. Sarà lunga, molto lunga purtroppo. Ma l’importante è non cadere in depressione e pensare che alla fine di questo macello torneremo a vivere in un mondo nuovo. Ma nuovo per davvero in quanto a valori e senso della condivisione”.

    Un augurio anche per il mondo del calcio?
    “Assolutamente si. E io, nel mio piccolo, sto lavorando anche per questo”.

    Come futuro presidente del Sindacato dei Calciatori?
    “Ci provo, perlomeno. Il 27 di questo mese avrebbero dovuto svolgersi le elezioni. Ovviamente tutto rimandato. Forse a ottobre. Ma io il mio programma l’ho già scritto ed è pronto. Un progetto che si basa sul fare e non sulle chiacchiere o i giochi di potere. Il sindacato della categoria deve tornare a essere ciò che fu alla sua fondazione voluta da Sergio Campana”.

    Sarebbe a dire?
    “Un organismo nel quale a contare sopra ogni cosa e oltre ogni interesse deve essere la voce dei giocatori. Oggi non è un sindacato ma una semplice associazione molto simile ad un club”.

    Sarà Calcagno il suo avversario?
    “Forse, non lo so e neppure mi interessa più di tanto. Io vado per la mia strada con il sostegno di persone serie e molto in gamba come, per esempio, Dossena, Pecci e Marchegiani. Non ho intenzione di fare la bandiera o l’uomo simbolo. Ricordo che lasciai il Consiglio di amministrazione della Juventus perché mi impedivano di esercitare il mio ruolo attivamente”.

    Favorevole oppure no al taglio degli stipendi per i calciatori?
    “Argomento spinoso che richiede una grande consapevolezza e buon senso anche civico. L’imposizione forzata non mi pare una soluzione ragionevole. Semmai dovrebbero essere gli stessi calciatori ad autotassarsi su iniziativa propria e collegiale per far sentire la propria vicinanza in maniera concreta ai tifosi e alle persone che soffrono”.

    Il calcio deve ripartire al più presto?
    “Il calcio deve riprendere quando le condizioni generali sanitarie del Paese lo permetteranno. Non solo, questo è un discorso che va coordinato a livello europeo e in contemporanea. Niente play off, ma meritocrazia. E se poi non sarà possibile un ritorno in maniera regolare, facciamola finita e non si dia lo scudetto a nessuno. Proprio come durante la guerra mondiale. E noi siamo in guerra, oggi”.

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