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  • Tevez realizza i propri sogni: l'Apache ha una vita 'da serie tv'

    Tevez realizza i propri sogni: l'Apache ha una vita 'da serie tv'

    • Angelo Taglieri

    "Il mio supereroe preferito è Superman: sa volare"
    "No, il mio è Hulk: quanto è forte?!"

    "Invece il mio è Spider Man: salta da un palazzo all'altro"
    "E il tuo, qual è?"

    "Il mio è l'Apache: si aggrappa alla ringhiera e fa esplodere la Bombonera"

    Carlos Tevez realizza i propri sogni. E quelli della Doce. E' perennemente in festa, la Bombonera, anche quando perde, immaginatevi quando vince. Il campionato. All'ultima giornata. Sorpassando il River Plate. E con un gol dell'idolo di casa. Ora uomo, eroe, leggenda, mito. Supereroe, chiamatelo come volete. Ma prima di diventare tutto questo, capopopolo Azul y Oro, l'Apache, era un bambino, coi suoi sogni, i suoi amici, il suo campetto e il suo pallone. E un sogno da realizzare. 


    La strada è sempre stata in salita, per Carlos. L'abbandono della madre, l'acqua bollente, per preparare il mate, che gli ustiona il volto e il collo, 2 mesi di terapia intensiva quando di mesi, tu, ne hai 9. L'affidamento agli zii materni, con quel piccolo Carlos Martinez che diventa figlio di Adriana Martinez, sorella della madre biologica Fabiana, e Segundo Tevez. "E' un Tevez", ripetono gli zii. E da Tevez cresce, fino a quando, a 15 anni, diventa legalmente un Tevez. Ed è lì, a 15 anni, che la sua storia cambia. 

    Fortissimo, da bambino, al Santa Clara. Fortissimo, da adolescente, al Boca Juniors. Ha il cuore Xeneize e ha quello risponde.
    "Argentinos Juniors? No grazie"
    "Ma ci è cresciuto Maradona"
    "No, grazie. Me ne vado solo per il Boca". 

    E Boca fu. 
    La sua vita è come quella di un film. Anzi, come quella di una serie tv. Con più sfumature, personaggi secondari che potevano diventare protagonisti assoluti, un contorno fatto di malavita, sparatorie, sangue, conti da regolare e bambini che non possono essere tali. C'è anche un po' di amore eh: Carlitos andava di nascosto a casa della prima fidanzata per non incrociare un suocero, capo di Segundo, un tantino geloso. Momento di evasione in una realtà cruda, sporca, cattiva, dove al posto del fischio dell'arbitro, delle urla degli amici, al campetto, sei costretto ad abbassarti per colpa di proiettili che tagliano l'aria e lacerano l'anima. 

    Da questo è passato quell'eroe appeso alla Doce nel momento della festa. Sa da dove viene, sa cosa vuole regalare. Emozioni, gioie, spettacolo. Come uno spettacolo è la serie tv che racconta la sua adolescenza, dalla nascita al debutto alla Bombonera: Apache: la vita di Carlos Tevez. Il futsal all'All boys, la voglia di giocare nella sua squadra, coi suoi compagni, i problemi del quartiere Ejercito de Los Antes, e il migliore amico che prende una brutta strada. Nel biopic si chiama Danilo, detto l'uruguagio, nella realtà è stato Dario Coronel, detto Cabanas. Più forte di lui, dicevano. Ma senza testa, senza famiglia e poi, giovanissimo, senza vita. Aveva solo una persona vicina, un amico vero, quello che è il 9 per il 10: Carlitos. Tanto che, una volta, Tevez fuggì dal primo ritiro con un'under dell'Argentina per andare a festeggiare il compleanno di Danilo/Dario. Il suo 10, quello che lo faceva segnare come nessuno, quello più forte di lui, che lo aspettava.
     
    "Perché lo hai fatto, Carlos?" gli chiedono Segundo e il selezionatore dell'Albiceleste, che ha tutta l'aria di essere José Pekerman

    Risponde così, Carlitos, diventato da poco Tevez.

    "Perché aveva bisogno di me. Perché il mio amico aveva bisogno d'aiuto"

    Un supereroe. Da sempre. 

    Tevez realizza i propri sogni: l'Apache ha una vita 'da serie tv'


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