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  • Timossi: fallimento Mancini. Se ne vada come ha fatto Conte

    Timossi: fallimento Mancini. Se ne vada come ha fatto Conte

    Sogno o son Destro. L’infelice caso di Mattia Destro è solo l’ultimo esempio dell’abisso verso il quale sta sprofondando il calcio italiano. E’ una sciagura, escluse alcune brillanti eccezioni. Una in particolare: la Juventus.

    Mattia Destro è stato prelevato a gennaio dalla Roma per sostituire al Milan Fernando Torres. Lo spagnolo era considerato un bidone: arrivato alla casa madre dell’Atletico Madrid è tornato a segnare, ha conquistato l’attenzione di Simeone e con i compagni ha raggiunto i quarti di Champions. Torres non era un bidone. Come non lo è Destro. Il giovanotto è il miglior attaccante del calcio italiano, la sua valutazione di 16,5 milioni non è per una volta spropositata. Sulle sue qualità si è sempre espresso con certezza Enrico Preziosi, il primo a puntare davvero su Destro. “E’ il migliore, non c’è Immobile che tenga”, spiegò una sera all’Ippogrifo, ristorante genovese frequentato fino a qualche tempo fa dal presidente genoano. Preziosi ha una valigia di difetti, ma sulla valutazione dei giocatori non ha rivali.

    Il fatto che Destro non verrà riscattato dal Milan non è una novità. Però è intrigante capire cosa ci sia dietro a questa scelta. A volere l’attaccante della Roma è stato Pippo Inzaghi, almeno così hanno raccontato. Dettaglio trascurabile: l’allenatore e l’amministratore delegato, Adriano Galliani, sono un’associazione di sciagurati pensieri. Galliani a gennaio ha preso il treno, è andato a Roma, ha citofonato a casa Destro, ha convinto il giocatore e così sia. Il motivo della scelta? Nessun motivo. Semplicemente perché non c’è nessuna scelta. Il Milan ha abdicato a questa prospettiva, almeno da un paio di stagioni. Ora nessuno riscatterà l'attaccante della Roma perché nessuno può farlo: entro la fine dell’estate finirà anche l’era berlusconiana del Milan, non è un’ipotesi, ma una certezza. Non ci sarà più Destro (probabilmente), ma certo è che non ci saranno più Inzaghi e Galliani. Quindi saranno i nuovi padroni e i nuovi dirigenti (Paolo Maldini in pole) a trovare un nuovo allenatore e pure un nuovo attaccante e così tutto il resto.

    Destro era stato scelto da Inzaghi con la maschera di Galliani, o da Galliani con la mascherata di Inzaghi, ma in fondo conta poco. Nel Milan ormai è saltato tutto, non è qui che l’anomalia italiana ha trovato il suo punto più espressivo.

    In Italia siamo bravissimi nel fare alcune cose. E non saremo mai capaci di farne bene altre. Partiamo dalle prime. Siamo, per esempio, bravissimi a cantar vittoria. Prima che la gara inizi.

    Lasciamo per un istante il mondo del calcio. La prossima Coppa America si disputerà nel 2017. Bene, due anni e mezzo prima gli italiani di Luna Rossa erano già convinti di vincere. Così hanno sbattuto la porta non appena sono cambiate le regole: catamarani più “corti”, componenti tutti uguali e quindi prezzi più contenuti. Vero, le regole sono cambiate all’improvviso e Patrizio Bertelli, l’armatore, il signor Prada, aveva già investito nel suo catamarano almeno 50 milioni. Però nella Coppa America cambiare le regole è la regola. Funziona così, da oltre 160 anni. Hanno seguito questa rotta personaggi illustri come sir Lipton, quello del the, bravissimo nelle miscele, ma mai capace di conquistare una Coppa America, malgrado gli infiniti tentativi fatti.

    Gli anglosassoni hanno le regole nel sangue. Sono così scafati che possono (paradossalmente) regolamentare la deregulation. Anche per questo in Inghilterra – è un po’ in tutto il Regno Unito – funziona la figura dell’allenatore manager.

    Rieccoci al punto, torniamo al football. Il calcio italiano è povero più di idee che di quattrini. Per questo si comprano gli scarti della Premier League (magari facendo affari meravigliosi come accaduto con Salah) e si mutuano le idee degli inglesi. Se il caso Milan è annebbiato dal fumo dell’inferno rossonero, è più chiaro quando sta accadendo all’Inter. Mancini ha sostituito Mazzarri, è arrivato, ha fatto l’allenatore manager, ha preteso e scelto e ha pagato (ah no, ha pagato Thohir) i suoi magnifici rinforzi. Probabilmente nei ritagli di tempo ha anche allenato e alla fine ha costruito la peggiore Inter mai vista da quando in Serie A una vittoria vale tre punti. Già, esperimento fallito: perché da un pero non nasce un melo, perché il centravanti faccia il centravanti, l’allenatore l’allenatore e il direttore sportivo faccia il direttore sportivo.

    Così ora sarebbe sbagliato dire che Mancini non rischia di venir esonerato al termine di questa stagione. L’allenatore-manager, che pretende una nuova “rivoluzione”, dovrebbe invece avere il coraggio di ammettere gli errori commessi. Presentando oneste dimissioni.

    Alla Juventus non commettono questo errrore. Certo, c’era un allenatore che voleva fare l’allenatore-manager (alla Ferguson, ovvio). L’allenatore non c’è più. Si chiama Antonio Conte, ora fa il commissario tecnico della Nazionale. La Juventus sta per vincere un altro scudetto con Massimiliano Allegri, un semplice uomo da panchina. Quanto sono azzeccate certe scelte impopolari. 

    Giampiero Timossi

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