Toromania: Cairo si dà alla politica del terrore per giustificare i propri fallimenti
Il fallimento del Torino di Cimminelli non può però essere usato come scusante per i propri errori, non può essere paventato come pericolo per acquietare una piazza delusa e in fermato. Ai tifosi granata non è necessario ricordare ciò che è successo nell’estate del 2005: come dimenticare la gioia per la promozione in A dopo la finale playoff con il Perugia tramutatasi in incubo pochi giorni dopo? Come dimenticare la corsa alla fideiussione mai arrivata? Come dimenticare il surreale ritiro di Acqui Terme? Come dimenticare anche Federico Balzaretti che giurava amore eterno al Torino dopo la finale di Perugia (“La maglia granata per me è una seconda pelle” e “Il Torino non è un punto di partenza ma un punto di arrivo”) salvo poi correre a firmare per la Juventus subito dopo la morte dell’A.C. Torino? Come dimenticare i lodisti che hanno salvato il Toro, che altrimenti sarebbe sparito? Come dimenticare anche tutto quello che avvenne nel mese di agosto, con le pressioni dei tifosi per convincere Giovannone a cedere il Torino proprio a Cairo? Come dimenticare le promesse non mantenute dello stesso Cairo sullo stadio di proprietà e su una squadra che sarebbe dovuta tornare ai fasti degli anni ’70?
Ecco, non servono dichiarazioni per ricordare il fallimento. Inopportuna anche la politica del terrore di Cairo per giustificare un mercato insufficiente, senza considerare che il far quadrare i conti è l’obiettivo minimo di ogni imprenditore: non può essere motivo di vanto per un presidente di una società di serie A.