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  • TRAP CHOC: 'Io, vivo per miracolo'

    TRAP CHOC: 'Io, vivo per miracolo'

    • Marco Bernardini

    “Giovanni, ma che cazzo di freddo fa qui. Non dico in Riviera, ma a Torino stanno già fiorendo le primule”. Scoprì la bocca da sotto il piumino rosso di ordinanza e tentando di dare un senso di normalità alla situazione. “Era l’unico posto dove, per il clima che c’è, un vecchio merluzzo come me poteva pensare di conservarsi”. Ma che diceva? Non era vecchio, Giovanni. Il merluzzo, cucinato con le patate lesse e tanta senape, lo mangiammo nella Gasthaus a cento metri da quella che viene definita la Casa Bianca del Bayern. Il quartier generale di una fra le più potenti società di calcio del mondo, al numero 53 di Sabener strasse, nell’immediata periferia della città. Era la primavera del 1997 e dal cielo sopra Monaco di Baviera veniva giù una nevicata da Natale. Non lo rivedevo da quando, dopo essere stato incantato da Cellino e da un’inesistente fiaba cagliaritana, era tornato in Germania. Avevamo un sacco di cose da raccontare. Idem, oggi.

    Ho due amici nella vita. Quelli, rarissimi, ai quali puoi consegnare ogni tipo di segreto e anche l’anima. Li difenderanno a costo della loro vita. Uno è Darwin Pastorin, ex compagno di avventure a Tuttosport e poi direttore di Sky Sport ora in pensione. L’altro è Giovanni Trapattoni, nonostante tra due giorni compia la venerabile età di settantasette anni, non ha alcuna intenzione di ammainare le vele. Anche a costo di fare venire un coccolone alla sua inseparabile Paola che, se per un colpo fortunato del destino le cose una settimana fa fossero andate in un certo modo, oggi sarebbe in collegamento diretto con la Farnesina per avere notizie di suo marito. “Sai, Marco devo proprio avere un santo che mi protegge da lassù. Oppure, molto più semplicemente, è intervenuta mia sorella Romilde che è andata in cielo due anni fa. Insomma io, la scorsa settimana, sarei dovuto partire per la Costa d’Avorio dove mi attendevano per consegnarmi la loro nazionale di calcio. Contratto di un anno e posto da favola dove vivere. Credo proprio in quel resort di lusso dove quegli animali arrivati con le barche dal mare e nascosti dietro l’alibi di una guerra di religione hanno compiuto una carneficina. Mi sa tanto che non è più tempo di andare per il mondo”. Così, vivo per miracolo, Giovanni potrà godersi lo spettacolo che andrà in scena con le sue due amanti storiche, la Juventus e il Bayern.


    Lo abbiamo girato insieme, il Trap ed io. Almeno un paio di volte, per un serial professionale infinito. Dall’Australia al Canada, dagli Usa alla Svezia, dall’Olanda al Messico, dal Portogallo alle Isole Fær Øer. Città bellissime e alberghi da sogno. Ma anche buchi del culo del mondo e ostelli da quattro soldi in Paesi poverissimi dove però, quando arrivava la truppa bianconera, era festa grande magari anche solo con la zuppa di cavolo e cipolle. Lui, il mister. Io, quello che prendeva nota. Lei, la Juventus, la sua prima amante. Facevano battere forte il cuore. Giovanni e i suoi ragazzi. Non era passione. Quella brucia e si spegne dopo un bel falò che lascia solo cenere e rimpianti. Era amore. E’ amore, ancora adesso. “Cosa vuoi che ti dica. Conobbi Paola durante le Olimpiadi di Roma. Ci sposammo. Pensa te quanto tempo è passato. Stiamo invecchiando insieme. E’ bellissimo. Poi conobbi Giampiero Boniperti che ero un pischello di allenatore. Mi consegnò la sua creatura. Sposai anche lei. Ma nel calcio, si sa, i rapporti eterni non possono esistere. Finì come era normale che dovesse finire. Ma l’amore è rimasto perché con la Juve ho trascorso gli anni della giovinezza e della prima maturità. Quelli che, per ciascuno, sono i più belli della vita. Quelli che mi spingono ad augurare ai bianconeri di riuscire a giocare la partita della vita all’Allianz Arena e a superare il turno di Champions. E non lo lo spero soltanto perché sono italiano”.

    Già anche perché a mettersi di traverso tra la Juventus e la Coppa non ci sta una squadra qualunque. Ci sarà l’altra amante del Trap. La seconda. Quel Bayern di Monaco dell’amico Beckenbauer che lo raccattò malconcio e triste sulla costa orientale della Sardegna e lo riportò in Baviera. Da lì, il giorno di quella nevicata primaverile che anticipava di poco la “resurrezione” di Giovanni con addosso il suo nuovo scudetto tedesco, dopo un intervallo in viola, a Firenze, ben più che dignitoso e un mondiale scippato dal corrotto arbitro Moreno, ricomincerà a girare il mondo e andrà in Portogallo, di nuovo in Germania, in Austria e in Irlanda diventando “il mister dei mister” come il suo collega più anziano Udo Lattek. “In effetti con la Juve e grazie alla Juve riuscii a scrivere pagine memorabili nel mio personale diario italiano. Con il Bayern e grazie al Bayern il mio nome come allenatore assunse una valenza internazionale che, tutto sommato, non mi sarei mai aspettato. A loro la mia riconoscenza, dunque. Anche se per la Juve…beh”. Tutto bene, purchè ora il mio amico Giovanni la smetta con il nomadismo senza più farsi venire strane idee in testa con fregole africane o mediorientali. L’amicizia è un dono del cielo raro e prezioso. Vorrei sentirlo parlare ancora per un bel po’ Il Trap. Anche soltanto al telefono.
     


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