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  • Trap80 auguri/2: l'intervista in doccia, il gavettone alla moglie, le urla in hotel, la cazzata di Cagliari e quel carneade...

    Trap80 auguri/2: l'intervista in doccia, il gavettone alla moglie, le urla in hotel, la cazzata di Cagliari e quel carneade...

    • Marco Bernardini
      Marco Bernardini
    Oggi compie gli anni un grande, un grandissimo del nostro calcio. Giovanni Trapattoni tocca la soglia degli 80 anni e noi di Calciomercato.com abbiamo scelto di celebrarlo raccontando alcuni degli episodi più curiosi che ci legano a lui e al passato del nostro calcio in cui "Il Trap" ha lasciato un segno davvero indelebile. 


    Caro, anzi carissimo Giovanni. Inteso come Trapattoni, naturalmente. Meglio ancora, il Trap punto e basta. Ottanta candeline, oggi. Una torta grande quanto il mondo. Farai festa con Paola, la donna che ti ha “sopportato” dal giorno in cui vi conosceste a Roma, durante le Olimpiadi, per sposarvi dopo quattro anni  e non lasciarvi mai più. Era il Sessanta. Una vita fa. Poi ci saranno  i tuoi figli, Alberto e Alessandra, con i nipotini. Pochi amici, fidatissimi, ma una bella festa. Quella che meriti per l’uomo che sei riuscito a essere prima ancora che non per le cose che hai realizzato grazie alla tua professione. Una persona speciale nella sua unicità di figlio, cittadino, marito, padre e infine nonno modello. Impossibile non volerti bene. Te ne voglio un sacco, oltre la stima, e tu lo sai perché almeno la metà di questi tuoi e tra un poco anche miei ottant’anni l’abbiamo in qualche modo condivisa lungo le strade del mondo. 

    Sarebbe facile per me, oggi, ripercorrere quel cammino recitando il testo della “messa cantata” per l’allenatore più in gamba e più simpatico che il calcio abbia mai avuto. Cronache di successi e di qualche caduta perché la vita non è un’autostrada che fila dritto per dritto. La classica biografia destinata a un personaggio celebre con la narrazione di fatti e misfatti. Proprio non riesco. Sarebbe banale, scontato e assolutamente riduttivo. Preferisco dire di te a chi legge, ma soprattutto regalare a me stesso, pescando in quella valigia dei ricordi, che una volta era la borsa dei sogni, scampoli di vita vissuta messi alla rinfusa ma non logori o logorati. Ciascuno di essi a narrare più di Giovanni da Cusano Milanino e non del Trap come marchio di fabbrica per il pallone. Insomma quelle due o tre cose che ricordo di te e che pure tu non hai dimenticato. Così, in maniera sparsa, non cronologica ma autentica. 

    Quella volta che nello spogliatoio del Comunale, dopo un allenamento, dovevo intervistarti. Avevi fretta e mi facesti entrare nel tuo box. Ti spogliasti e ti mettesti sotto la doccia e intanto che ti lavavi rispondevi alle mie domande. Poi, siccome faceva un caldo assurdo quel giorno e io ero sudato da far schifo, dopo esserti rivestito mi dicesti: “Io vado, adesso rinfrescati tu”. Impensabili, oggi. E forse anche ieri. 

    Quella volta che a Villar Perosa, in estate, dopo la cena stavamo seduti nei giardino dell’albergo a bere un caffè. Ero l’unico giornalista rimasto. C’era anche la Paola che era venuta a trovarti in ritiro. Ad un tratto proprio tua moglie venne investita da una cascata di acqua che era destinata a te. Insomma il classico gavettone fatto da un tuo ragazzo burlone dalla sua camera. Raramente ti ho visto così incazzato. Sei volato per le scale come un razzo. Non oso pensare alle cose che hai urlato a Domenico Marocchino. Ovviamente non scrissi nulla. 

    Quella volta che, a Catanzaro per l’ultima di campionato e scudetto sul filo di lana con la Fiorentina, riuscii a infilarmi da un buco nella rete e a entrare in campo. Come un gatto venni a sedermi accanto a te sulla panchina. Mi guardasti come un marziano, ma non dicesti nulla. In compenso, nell’ultimo quarto d’ora della gara e dopo che Brady aveva segnato il rigore, ascoltai tanti di quelli smadonnamenti che non mi capitò mai più in tutta la mia vita. Al fischio finale scappammo insieme verso il tunnel attraversando il campo. Ogni tanto rivedo in tivvù la scena nei filmati amarcord. 

    Quella volta che, a Siviglia, alloggiavo nella camera accanto alla tua. Avevo mandato al giornale il pezzo dove si diceva che tu, la stagione successiva, saresti andato ad allenare l’Inter. Era un’esclusiva e Tuttosport la sparò in prima pagina a nove colonne. Alle sette del mattino vengo svegliato da colpi violentissimi alla porta. Apro. Entri in camera come una furia e mi urli in faccia: “Ma che cazzo hai scritto?”. Ti rispondo con calma: “La verità Giovanni. Non è forse la verità”... Improvvisamente ti calmi. Una pausa e poi fai: “Beh, sì”. Ci mettiamo a ridere e torni in camera tua. 

    Quella volta che, a Sydney, vi seguo come unico giornalista italiano in tournèe post campionato con la Juventus. Praticamente mi adottate dal mattino alla sera e giriamo l’Australia insieme. Scrivo di voi ogni giorno stando sempre molto bene attento a non fare casini. L’ospitalità è sacra. Voi siete contenti e io pure. Poi una sera parlo con Penzo. Ha il muso lungo e mi confessa che vorrebbe tornarsene a Verona, il prossimo anno. A quel punto faccio il mio mestiere e invio alla redazione di Torino l’intervista con il bomber deluso. Per fortuna era l’ultimo giorno della missione australiana. Malgrado il buon Bizzotto tentasse di fare da paciere, mi facesti scendere dal pullman urlando. Presi un taxi per arrivare in aeroporto. Dove mi offristi un caffè. 

    Quella volta che, a Monaco di Baviera, nevicava che sembrava di essere sul Monte Bianco. Mi portasti a colazione in un pub davanti al Centro Sportivo del Bayern. Faceva un freddo porco. “Il clima giusto per conservare un vecchio merluzzo come me, dicevi. Poi mi lasciasti intendere che la tua avventura in Germania stava finendo perché il presidente Cellino ti voleva al Cagliari. Ti dissi che, secondo me, stavi facendo una cazzata. La facesti. 

    Quella volta che, a Udine, ti preparavi a giocare la tua prima di campionato con il Cagliari. La domenica mattina facemmo colazione insieme al “La di Moret”. Eri tranquillo e anche gasato. Non vedevi l’ora. “Ma ti pare che possiamo perdere contro una squadra dove gioca uno sconosciuto che si chiama….”. Dicesti il nome ma evito di scriverlo per non incasinarti dopo tanto tempo e per rispetto dell’interessato che poi fece una dignitosa carriera. Comunque fu proprio quel tipo a segnare il gol della vittoria per l’Udinese. Eri finito in un incubo. 

    Quella volta che…..Ne avrei altre mille Giovanni. Mi fermo qui. Auguri, amico mio e a tutti e tanti prossimi compleanni. 

     

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