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  • Tutta colpa di Brera

    Tutta colpa di Brera

    Se dico contropiede, libero, ammiraglia e abatino, è tutta colpa di Brera, ultimo genio ad avere partorito o riplasmato parole in lingua italiana.

    Se non dico più «acciaccapesta inenarrabili» e «mulinando frenetiche gambette da sorcio», la colpa è soltanto mia, perché Brera diceva questo e molto altro.

    Se ho imparato che «negli italianuzzi l’intelligenza è un’aggravante come l’ubriachezza nei fatti di sangue», è tutta colpa di Brera (ma un po’ anche degli italianuzzi).

    Se vedo influenze longobarde o alla peggio gallo-cimbriche in chiunque mi capiti a tiro, è tutta colpa di Brera, che da Siddharta a Rummenigge nelle vene di ogni essere umano rintracciava i segni di qualche antenato cresciuto sulle rive lombarde del Po.

    Se sono riuscito a finire i libri di Gadda, che mi hanno reso un uomo confuso e migliore, è tutta colpa di Brera: è stato il suo linguaggio fra Padania e Sudamerica a farmi da allenatore.

    Se ogni volta che ho perso, in amore e nella vita, ho chiamato a raccolta il ricordo di quando l’Uruguay batté il Brasile in rimonta, dopo avere a lungo difeso la sconfitta, è tutta colpa di Brera e della sua cronaca di quella partita: memorabile, nel senso di imparata a memoria, a furia di ricopiarla sul quaderno durante le lezioni di matematica.

    Se faccio il giornalista e non so un tubo di matematica, è tutta colpa di Gianni Brera, tornato dagli avi gallo-cimbri la sera del 19 dicembre 1992, vent’anni fa, eppure immortale nel mio vecchio quaderno, dove ancora mi insegna a difendere le sconfitte e a prendere il destino nell’unico modo possibile: in contropiede.

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