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  • Tutti gli affari italiani con l'Arabia Saudita, ecco perché ci scandalizziamo per il calcio e non per bombe e moda

    Tutti gli affari italiani con l'Arabia Saudita, ecco perché ci scandalizziamo per il calcio e non per bombe e moda

    • Dario Donato
      Dario Donato
    Ha certamente ragione chi sostiene che la tanto contestata partita Juventus-Milan di Supercoppa sia solo la punta di un iceberg che, con la stessa vis polemica, dovrebbe a questo punto rimettere in discussione tutti i ricchi e munifici rapporti commerciali tra il nostro paese e una monarchia assoluta e nebulosa come l’Arabia Saudita. 

    In effetti sono i numeri a dirci che Riad è un partner economico molto importante. Gli ultimi disponibili sul sito del Ministero per lo Sviluppo economico, elaborati su dati Istat, per il 2017 segnalano che le esportazioni verso i Paesi del Golfo sono ammontate a 20 miliardi di euro.
     
    Verso l’Arabia Saudita, nello specifico, le esportazioni italiane nel 2017 hanno raggiunto i 3,9 miliardi di euro, una cifra importante seppur in leggera flessione rispetto al 2016. 

    A ben vedere, oltre al pallone, sul fronte della composizione merceologica, la struttura delle nostre principali esportazioni rimane invariata: 1. macchinari: 1,4 miliardi di Euro (37% del totale); 2. derivati del petrolio: 386 milioni di Euro (10% del totale); 3. materiale e apparati elettrici: 292 milioni di Euro (7% del totale); 4. lavori di ghisa, ferro e acciaio: 212 milioni di Euro (5% del totale) e 5. mobili: 187 milioni di Euro (5% del totale). 


    Tutti gli affari italiani con l'Arabia Saudita, ecco perché ci scandalizziamo per il calcio e non per bombe e moda


    I dati statistici evidenziano che l'Italia si attesta complessivamente all'ottavo posto nella classifica dei Paesi fornitori del Regno (venendo dopo Cina, Stati Uniti, EAU, Germania, Corea del Sud, Giappone e India) e al secondo posto in ambito UE (dopo la Germania), davanti a Francia e Gran Bretagna (in nona e decima posizione rispettivamente).

    Nel primo semestre 2018 l'interscambio bilaterale tra Italia e Arabia Saudita è cresciuto del +4,3% rispetto al medesimo periodo 2017. I flussi commerciali sono passati da 3,8 miliardi di Euro del periodo gennaio-giugno 2017 ai 4 miliardi del periodo gennaio-giugno 2018.

    Lasciamo perdere l’aspetto di quanto l’Italia importi dall’Arabia Saudita perché poco interessa, seppur la dimensione sia sempre quella dei 3-4 miliardi di euro di prodotti per la maggior parte di natura petrolifera.

    Se siete arrivati fino qui a leggere vi chiederete (giustamente) cosa c’entra questa sfilza di numeri con il minuscolo e contestatissimo accordo commerciale (in proporzione) che la Lega Calcio ha stipulato con il governo di Riad e cioè 23 milioni di euro per disputare 3 delle prossime 5 finali nel paese. In effetti, se dovessimo considerarlo in termini assoluti, l’industria del pallone sarebbe un granello di sabbia in una spiaggia di rapporti commerciali che vede, per esempio, i produttori di mobili del design italiano essere tra i grandi protagonisti del nostro export in quella zona geografica. 

    E allora perché non fare la morale ai mobilieri brianzoli o perché non ci siamo indignati a sufficienza di questa recente inchiesta del New York Times in cui ci si interrogava sulla presenza di bombe prodotte in Sardegna e poi scaricate sui civili in Yemen da parte dell’Arabia Saudita? E dire che anche il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha promesso approfondimenti sul tema.

    Per non parlare dell’omicidio del giornalista Kashoggi, di cui si parla da mesi, che ha fatto traballare la dinastia regnante e per cui sono state richieste nelle ultime ore 5 condanne a morte.

    Perché la sollevazione popolare solo per Juventus-Milan? 

    E’ probabilmente vero che la Lega Calcio abbia commesso un errore di valutazione. Perché nel nostro paese il pallone spesso ha anche la presunzione di pensare di poter essere motore per veicolare messaggi positivi. Anche se di messaggi positivi, vedi la cronaca nera delle ultime settimane, se ne vedono purtroppo sempre meno. Tuttavia è del 13esima turno di campionato il baffo rosso disegnato sul volto dei giocatori nella giornata contro la violenza sulle donne. Era fine novembre. Un mese e mezzo dopo si scopre leggendo le disposizioni per l’accesso alla partita che al King Abdullah Sports City Stadium le donne potranno accedere solo a determinati settori dello stadio. La Lega Calcio replica allo sdegno social sostenendo che fino a poco tempo fa le stesse donne, in Arabia Saudita, non potevano nemmeno accedere agli impianti sportivi. Bel passo avanti. Se non fosse che a questa logica saranno piegate anche ragazze, signore, nonne, tifose italiane che vorranno andare a vedere la partita partendo da suolo italico.

    Coerenza imporrebbe di valutare le scelte commerciali sul lungo periodo e non solo con la logica del mero ritorno economico. In marketing si chiama Corporate Social Responsibility. Cioè quando le aziende si impegnano in attività socialmente utili, che magari non hanno ritorni economici, ma certamente ne hanno dal punto di vista dell'immagine.

    Ecco, chi amministra il calcio (e i presidenti di club che sono gli azionisti) dovrebbero riflettere anche su questo. Il business non è tutto. Non sempre, perlomeno. Sul lungo periodo i ricavi si aumentano anche acquisendo credibilità e status morale. Probabilmente chiediamo troppo. Quantomeno servirebbe un minimo di coerenza nelle scelte strategiche ed essere ben consapevoli del proprio ruolo mediatico all’interno del sistema paese.

    Perché è vero che i mobilieri italiani, i produttori alimentari e quelli chimici fanno molti più affari di Lega Calcio e presidenti con la tanto vituperata Arabia Saudita. Ma è altrettanto vero che non li fanno in diretta su Raiuno e l’altroieri non giravano per gli aeroporti con un baffo rosso sulla guancia. Makes difference, anche se a qualcuno non piacerà. Tipo i politici acchiappalike.

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